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Def, la vittoria di Giorgetti: sinistra in rivolta? Zittita dall'Ue

Giancarlo Giorgetti

Sandro Iacometti
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Il Patto di stabilità è cambiato. Le sue regole nel dettaglio non sono ancora state definite. Ma per gli europeisti del Pd il governo, per stilare l’ultimo Def della storia italiana, doveva comunque seguire l’iter previsto da un accordo che è stato sospeso dai tempi della pandemia e che di fatto non è più in vigore. «Siamo molto preoccupati per il Def», ha detto il capogruppo al Senato, Francesco Boccia, «presentarlo senza la parte programmatica è da governo dimissionario. È da Camere sciolte e da fine legislatura che invece è al secondo anno».

La sensazione è che di sciolto, per ora, ci sia solo il senno delle opposizioni, che, nel marasma più completo per il terremoto politico seguito alle inchieste di Bari e Torino, ieri non hanno trovato di meglio che aggrapparsi all’assenza di numeri che Giancarlo Giorgetti ha assicurato saranno puntualmente messi nero su bianco entro il 20 settembre, quando, così come stabilito dai nuovi accordi, bisognerà presentare il Piano fiscale strutturale di medio termine.

Certo, la sinistra non vedeva l’ora di utilizzare i danni provocati dal superbonus sui conti pubblici come strumento di propaganda per le elezioni di giugno. E nessuno, va detto, avrebbe impedito al governo di gettare dei numeri a casaccio in pasto agli avversari. Ma a che pro? Visto, inoltre, che l’impatto degli sconti sull’edilizia voluti dal governo Pd-M5S sono ancora in fase di valutazione (si aspetta pure la decisione di Eurostat su come classificare i crediti di imposta)?

 

 

Tanto più che la stessa scelta, senza neanche la scusante del nuovo Patto di Stabilità, era stata già fatta in situazioni più o meno straordinarie dai governi Monti, Gentiloni, Conte (durante l'emergenza Covid) e Draghi, prima del passaggio di consegne a Giorgia Meloni. La solita mattata dei sovranisti in spregio della Ue?

Non proprio. Presentando il documento con solo il quadro tendenziale, a legislazione vigente, il ministro dell’Economia ha precisato che la decisione è stata concordata con la Ue. E in tempo reale da Bruxelles è arrivata la notizia che non saremo i soli. «Non credo che l'Italia possa in alcun modo distinguersi come un'eccezione. Penso che molti Paesi si trovino ad affrontare considerazioni simili», ha fatto sapere un alto funzionario Ue interpellato sulle modalità con cui il nostro Paese ha deciso di approvare il Def. Ancora dubbi? Ecco la precisazione della Commissione europea: «Ci troviamo in una situazione piuttosto particolare in cui le vecchie regole prevedono che entro la fine di questo mese i Paesi debbano presentare i loro programmi di stabilità e convergenza e i loro programmi nazionali di riforma. Ora ci aspettiamo che le nuove regole entrino in vigore subito dopo tale scadenza. Quindi non ha molto senso pratico costringere i Paesi a sprecare risorse in questo processo».

 

 

Il discorso, al netto della propaganda che oggi occuperà le pagine di alcuni giornali sul documento “vuoto” o “fantasma”, secondo le preferenze, è chiuso. Resta ovviamente sul tavolo il problema di trovare le risorse per confermare il taglio del cuneo fiscale e i benefici dell’accorpamento delle aliquote Irpef, confermati ieri da Giorgetti, che faranno partire la prossima manovra da -15 miliardi.

La difficoltà oggettiva di trovare la quadra fa presumere, anche se il ministro assicura di voler anticipare i tempi, che il velo sui numeri sarà alzato solo il 20 settembre. Quando il governo dovrà presentare un documento totalmente nuovo, definito in base alle nuove regole della governance Ue, con il quale governo, Parlamento e Commissione europea dovranno imparare a confrontarsi. Ma senza le «istruzioni» di Bruxelles, come ha detto ieri Giorgetti, è impossibile cimentarsi nella definizione del quadro programmatico. E l’Europa, nel bene e nel male, non può essere tirata in ballo solo quando fa comodo. 

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