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Aborto, la bufala del governo che cancella la 194

Corrado Ocone
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Nella strana concezione che hanno a sinistra della libertà, anche le idee non sono tutte uguali perché ce ne sono alcune più uguali delle altre. Sull’aborto, ad esempio, chi esprime dei dubbi o perplessità, e vorrebbe semplicemente poter accedere al pubblico dibattito per manifestarle, semplicemente non può farlo. Questo meccanismo di esclusione si attiva automaticamente, come un riflesso pavloviano, soprattutto da quando l’aborto garantito dallo Stato da necessità pragmatica è diventato un diritto. Casomai da imprimere indelebilmente nella Carta costituzionale, come si è fatto in Francia e come si sta tentando di fare a livello europeo. Poiché poi a sinistra ultimamente alberga anche un bel po’ di ignoranza, nel senso etimologico del termine, si parla di attacco alla legge 194 ogni qual volta che la si vuole semplicemente rendere operativa.

È quanto sta avvenendo in queste ore: aizzata da una sinistra in cerca di un’identità perduta, sta infatti montando una protesta, limitata ma rumorosa, su un emendemamento al decreto legge governativo sul Pnrr che prevede il coinvolgimento nei consultori non solo delle associazioni abortiste, come già avviene, ma anche di quei movimenti Pro Life che sostengono la maternità e che cercano di trovare un possibile “piano b” per quelle donne che si apprestano a compiere una scelta comunque non facile anche se la si vorrebbe far passare come tale. Ieri, ad esempio, mentre l’Aula approvava il provvedimento con il voto di fiducia, un sit in davanti a Montecitorio ha squadernato rumorosamente i soliti slogan sul “governo fascista” che mette le mani sul “corpo delle donne”. E che, appunto, al contrario di quanto affermato in sede di programma, proverebbe a smantellare la legge che in Italia regola l’interruzione della maternità. Lo spirito della legge 194, un tempo voluta e patrocinata da una sinistra certamente più ragionante e matura di quella odierna, era molto lontana da quello che oggi si vorrebbe far credere.

 

 

 

Prima di tutto, nasceva da una constatazione realistica: l’aborto è qualcosa che esiste, ma che un essere umano non può considerare alla stregua di un capriccio o di una bazzecola. La donna che compie questa scelta deve farlo in piena coscienza e responsabilità. L’istituzione dei consultori aveva come primo compito proprio quello di accompagnare la donna in questa scelta difficile, non farla sentire sola. Ed anche di valutare alternative sostenendola psicologicamente ed economicamente nel caso avesse voluto recedere. O, al contrario, di sottrarla all’illegalità e alla clandestinità qualora avesse confermato la scelta. Una situazione che avrebbe messo a rischio la sua vita e la sua salute.

 

 

 

IL MALE DA AFFRONTARE

Non credo che si va troppo lontano dal vero se si dice che lo spirito della legge considerava l’aborto un “male” che esiste da che mondo è mondo e che la politica, che non coincide con la morale (la quale è affidata alla coscienza individuale di ciascuno), deve solo governare e regolare. Che fosse un “male” lo segnalava l’istituzione stessa dei consultori. Lo Stato non giudicava perché non è questo il suo compito, ma aiutava. Il principio sacro del liberalismo, e quindi anche dello Stato moderno, è che lo Stato non può invadere la sfera coscienziale individuale. I dilemmi etici sono tali proprio perché nessuno può pensare di risolverli definitivamente, come vorrebbe fare la sinistra ultima maniera. Da un punto di vista filosofico, che l’aborto non possa essere considerato un diritto lo si deduce poi anche da un altro ragionamento.

Se proprio ragioniamo in questi termini, infatti, qui i diritti in conflitto sono almeno due: quello della madre a interrompere una gravidanza indesiderata, ma anche quello del nascituro a poter appunto nascere. E fra due diritti, quello alla vita non è forse superiore? E chi è il più debole fra i due titolari di diritto? Penso a intellettuali laici del calibro di Norberto Bobbio che questi dilemmi – erano altri tempi – non avevano difficoltà a porli anche a sinistra. Non c’è dubbio che perorare in astratto il diritto all’aborto sia poi anche il portato della deriva nichilistica della sinistra, la quale riduce i bisogni e le esigenze del momento a diritti e quindi le scelte a capricci. Che poi questa riduzione faccia il gioco dei grandi sistemi organizzati che dominano il mondo, è un paradosso non indifferente ma significativo. 

 

 

 

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