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Rino Formica parla di golpe per rovesciare Giorgia Meloni

Pietro Senaldi
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Il socialista Rino Formica passa tuttora per essere un gigante del pensiero politico. E forse lo è davvero, visto che la politica è resistenza al logoramento e lui, a 97 anni, nemici e amici li ha seppelliti tutti, o quasi. Oltre ai buchi dell’Inps con i quali negli anni Ottanta, da ministro economico e addetto alla previdenza, ha contribuito con altri a giocarsi il futuro di sei o sette generazioni, di lui resteranno le sue massime: «La politica è sangue e merda», riferita al cinismo come arte di governo e alla necessità del compromesso e dell’inganno per arrivare a potere e consenso, «Il convento è povero ma i frati sono ricchi», pensando al suo partito travolto da Tangentopoli, «Una corte di nani e ballerine», per descrivere l’allargamento alla società civile che Bettino Craxi impose al Psi.


Oggi Formica ha perso la battuta fulminea ed epigrafica e si dedica a dotte analisi politiche. Il suo pensiero è noto: detesta Giorgia Meloni, che ritiene un’erede di Almirante che però si nasconde, una politica fortunata e furba, più che intelligente, che ha beneficiato della pochezza di rivali e alleati, e una anti-europeista. È strenuo difensore dell’Unione Europea a guida franco-tedesca, con l’aggiunta di Madrid, così com’è, s’intende, perché pensa che solo loro abbiano capito come si salva il vecchio Continente. Ne ha viste tante, benché oggi si definisca cieco e, se non altro per rispetto, non si può certo polemizzare con lui perché la pensa diversamente.

Qualche paletto però non guasta metterlo, se non altro per impedirgli di non rovinare la sua immagine, così a lungo ben coltivata. In un articolo per il Domani, l’ex politico craxiano ha dichiarato che questo governo «va sgomberato» e che, siccome «l’opposizione è minoranza e non è in condizioni di rovesciarlo per vie naturali, cioè democratiche», bisogna trovare «una via per rimuoverlo». L’operazione il nostro la chiama «cambiamento democratico». Le ragioni della necessità dello sgombero risiederebbero, secondo Formica, nel fatto che in Italia «la maggioranza delle forze di governo è legata a una tendenza anti-europea, in quanto hanno votato contro la Commissione e il suo programma, mentre l’opposizione è europeista».

A parte che non è proprio così, visto che una significativa parte dell’opposizione italiana non ha sostenuto Ursula von der Leyen, la quale appartiene al Ppe, che da noi è rappresentato dalla seconda forza del governo in carica, e visto che la nostra premier ha rapporti con la confermata presidente della Ue più frequenti, fattivi e sintonici di tre quarti degli altri leader europei, il ragionamento di Formica è la negazione della politica e della democrazia. Affermare che Fratelli d’Italia è anti-europeista perché non ha votato per Ursula equivarrebbe a sostenere che il Pd è anti-italiano perché non sostiene Giorgia. In democrazia si può essere contro un governo e un leader ma non per questo si è contro l’istituzione che essi rappresentano. Questo vale ancora di più in Europa, dove le maggioranze si scompongono e si riformano sui singoli provvedimenti - e si è già capito che in questa legislatura la cosa accadrà più volte - e dove si possono esprimere membri della Commissione anche se non si è sostenuto il presidente. Ma anche sui metodi che il grande vecchio suggerisce per spazzare via la Meloni ci sarebbe da ridire.

Formica evoca la manina dall’estero: l’Europa di Ursula «dovrebbe chiedere (leggasi imporre; ndr) all’Italia l’adeguamento dei programmi nazionali a quello approvato dal Parlamento Europeo». E la mente corre al pressing che Bruxelles fece sul governo Berlusconi nel 2011, con letterine, risatine, crisi diplomatiche, agguati in politica internazionale, vendite in blocco dei titoli di Stato, un mix passato alla storia con la definizione di golpe bianco. L’alternativa è l’evocazione della piazza, «la mobilitazione di popolo» contro il governo prendendo a pretesto la legge sull’Autonomia differenziata. Per carità, le manifestazioni sono il sale della democrazia, ma evocare una mezza rivolta in nome dell’anti-federalismo sa di ultima spiaggia più che di geniale pensata.

Formica auspica il ribaltone in Italia come argine al caos in Europa, fingendo di ignorare che l’Italia oggi è il luogo della stabilità, laddove Francia, Germania e Spagna, le nazioni che secondo lui dovrebbero guidare l’Europa, sono precipitate in un caos di cui ancora non si vede la soluzione. Passa il tempo per tutti e la visione politica di Formica ormai è esangue.

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