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Luca Zaia e la legge Calderoli: "La Chiesa critica perché non ha capito il cuore della riforma"

Alessandro Gonzato
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«Guardi, l’ho scritto nel mio ultimo libro, “Fa’ presto vai piano”: Seneca nel “De brevitate vitae” dice che la vita non è breve, ma è l’uomo che la rende tale. Ecco, dico a tutti i miei colleghi una cosa: pensando in continuazione a cosa si farà domani, e a che poltrona occupare il prossimo giro, finisce che ti rovini la vita. Governi e amministri male, perché non sei lucido».

Zaia, come lo vede il futuro politico del Veneto? La discussione è accesa, Forza Italia scalpita. 
«Se qualcuno vuole chiamarsi fuori si accomodi... Io a capo della coalizione di centrodestra nel 2020 sono stato confermato col 78%. Lavoro da quattordici anni con una squadra che ha prodotto tanto, ed è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo sempre dimostrato grande affiatamento, possiamo contare su 43 consiglieri su 50 grazie al mio risultato. Ripeto: noi non tratteniamo nessuno, se qualcuno se ne vuole andare le porte sono aperte. Ma i veneti non lo capirebbero».

 

 

 

Luca Zaia, il “doge” da queste parti, è governatore del Veneto dal 2010 e a settembre 2020 è stato confermato per la seconda volta col 77%: la sua lista civica ha preso quasi il 45. In Veneto si voterà l’anno prossimo. A oggi, in base alla norma sul limite dei due mandati, il leghista non potrebbe ricandidarsi.
Dopo cosa farà? 
«Manca più di un anno: è un’era glaciale».
D’accordo: ma si vede lontano dal Veneto? O magari fuori dalla politica... 
«È presto. Non si è ancora capito se la regola sui mandati verrà confermata».
Finora però la discussione non ha portato a nulla. 
«Prima o dopo il tema dovrà essere affrontato: la questione non riguarda solo me, ovviamente, ma anche amministratori di centrosinistra. È atipico chele uniche due cariche elettive, presidente di Regione e sindaco, abbiano questo vincolo. E vorrei sottolineare una cosa».
Prego. 
«Se a due mesi dalle elezioni, in pieno Covid, io avessi pensato al mio tornaconto politico non avrei chiuso Vo’ Euganeo, non avrei fatto per primo i tamponi a tutti, non avrei annullato il Carnevale di Venezia... mentre colleghi facevano gli spritz in piazza e dicevano che ero fuori di testa. Un vero amministratore governa per la gente, non per il suo sedere».

 

 


Il vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana ha appena dichiarato che «l’autonomia differenziata è un pericolo mortale», che «sarà il Far West», che «se affonda il Sud affondiamo tutti». 
«Sono sorpreso e rammaricato. Siamo abituati a una Chiesa che indica la via, la rispettiamo, ma stavolta la direzione è sbagliata, alimentata almeno in parte da un’informazione di parte. È importante capire se si tratta di un’opinione isolata, quella del vescovo di Cassino, o di una posizione ufficiale della Cei. Se fosse stata approfondita meglio la portata della riforma, nei suoi aspetti tecnici e amministrativi, sono convinto che il vicepresidente avrebbe espresso una valutazione più chiara e diversa. Metto a disposizione i nostri esperti per qualsiasi confronto. Questo allo scopo di chiarire qualsiasi dubbio».
Todde, governatrice della Sardegna - Regione a Statuto speciale - impugnerà la legge sull’autonomia davanti alla Corte Costituzionale. 
«Ci sono due modi per fare il presidente di Regione: o lo fai pensando che i tuoi cittadini sono tutti uguali e cerchi di essere super partes, o lo fai pensando che sia solo un’occasione per fare politica. Ricordo che noi siamo usciti dal governo perché i 5Stelle erano contrari alla riforma. Mi batto perché chi ha l’autonomia la mantenga, e il popolo sardo è eccezionale. Dopodiché se la governatrice andrà alla Consulta noi ci presenteremo parte lesa per rispondere alle argomentazioni che porterà la Sardegna. E avviso già: il Veneto renderà pubbliche le argomentazioni della Todde. Ci si confronterà sui dati reali, e allora vedremo. Poi ci sono altre cose che lasciano perplessi».
Quali? 
«La Regione Sardegna non fa ricorso per tutelare la sua autonomia, che non è in discussione, ma per bloccare quella altrui. Inoltre va detto che le Regioni a Statuto speciale, come le Province autonome, possono applicare la legge se la ritengono conveniente, non c’è alcun obbligo. Inoltre ricordo che anche la Sardegna gode dei trasferimenti nazionali che provengono dal Veneto».
Emilia Romagna e Campania sono tra le Regioni che guidano la raccolta firme contro l’autonomia. 
«Più che altro dovrebbero spiegare agli italiani perché nei dieci anni che hanno governato dalla caduta di Berlusconi non hanno mostrato la loro idea di riforma. Ricordo che il centrosinistra in precedenza aveva giustamente votato per esplicitare l’autonomia in Costituzione, il Titolo V. Questo governo invece ha dimostrato coerenza e serietà. In quindici mesi ha reso obbligatori i Lep, i livelli essenziali di prestazione che dovranno essere garantiti da Nord a Sud. Abbiamo scritto la legge in un anno e mezzo».

 

 

 


Il centrosinistra è compatto nel “no” alla riforma. 
«Il Pd e gli altri che oggi vorrebbero affossare la legge sono gli stessi che nel 2014, governo Renzi, hanno impugnato la mia legge referendaria sull’autonomia del Veneto, quella che ha portato 2 milioni 300mila veneti a votare per la riforma. Il “sì” ha vinto col 98%. E quel referendum del 2017, lo ricordo, è stato approvato dalla Corte Costituzionale. Non paghi di aver perso, poi Gentiloni, subentrato a Renzi, e il sottosegretario Bressa ci hanno vietato l’uso della tessera elettorale per la consultazione: la più grande porcheria dell’Italia democratica, hanno voluto far credere ai cittadini che andavano a una gazebata e non a un voto legittimo. Ci hanno fatto pagare persino il servizio di sicurezza ai seggi».
Torniamo a Bonaccini e De Luca. 
«L’Emilia Romagna si era accodata ma dicendo: “Non serve che facciamo tutto questo casino, che spendiamo soldi. Andiamo in giunta e l’autonomia la chiediamo lì”, tanto è vero che il governatore qualche giorno prima era andato da Gentiloni per trovare l’intesa su alcune materie. Su De Luca, guardi, nel 2019 l’aveva chiesta pure lui con una delibera di giunta. Poi avrà cambiato idea, cosa vuole che le dica...».
Il grido di battaglia è lo “Spacca Italia”. 
«In 76 annidi storia repubblicana questo Paese ha accumulato 3mila miliardi di debito pubblico, ha cittadini costretti a farsi curare fuori regione, sacche di disservizi indegni di una nazione civile. I bimbi quando nascono sanno già che destino avranno in base al luogo d’iscrizione all’anagrafe. Mi sembra immorale. È questa la vera Italia a due velocità: è figlia di un modello che non ha funzionato. Possiamo pensare che il modello sia finalmente quello della responsabilità?».

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