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Immigrazione, Marco Minniti: "Sugli sbarchi l'Italia traccia la rotta in Europa"

Pietro Senaldi
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«L’Africa non è povera, è un continente ricchissimo. L’Europa deve fare un’alleanza strutturale con il popolo africano per usare le risorse dei suoi territori come elemento di sostegno e sviluppo. Se gli africani riescono ad aumentare il loro reddito, la questione migratoria diventerà meno asfissiante. In questo, il Piano Mattei del governo Meloni può fare da apripista: è una straordinaria risorsa strategica che l’Italia ha creato per il continente europeo».

Il concetto dell’aiutiamoli a casa loro, presidente?
«Espressione riduttiva e fuorviante. Qui c’è in ballo qualcosa di più grande e importante: Europa e Africa devono costruire insieme il futuro assetto del pianeta. Con una guerra in Europa, un’altra nel Mediterrano, la Libia sull’orlo di un conflitto civile e l’area sub -sahariana che sta per esplodere, è evidente che è saltato il vecchio ordine mondiale. Quello nuovo non può essere costruito senza il Sud del mondo. L’Italia gioca un ruolo fondamentale, perché è il punto di congiunzione geografica tra Occidente e Sud del mondo e perché ha capito prima degli altri in Europa la delicatezza della partita, indicando la via a tutti».

Lo si è visto al G7 di giugno in Puglia?
«Quello è stato un grande successo del governo, che è riuscito a portare in masseria pure il Papa. Sono arrivati tutti, leader africani, il premier indiano Modi: significa che il mondo ormai guarda all’Italia come mediatrice tra Ue e Africa».

Marco Minniti è stato il ministro dell’Interno che ha contrastato, con accordi bilaterali nei Paesi di partenza dei barconi, la drammatica emergenza migratoria da cui fu travolto il governo Gentiloni, figlia in buona parte degli errori di Enrico Letta e Matteo Renzi, che non capirono e sottovalutarono il fenomeno, pensando di poterlo gestire da Palazzo Chigi, sotto le indicazioni dell’Unione Europea. Il governo Meloni ha ribaltato il paradigma: ha trovato una chiave per fronteggiare l’emergenza dove nasce e non dove sfocia e ha indicato a Bruxelles la rotta politica da seguire. «Mi sembra che Ursula von der Leyen stia maturando una progressiva consapevolezza dell’indifferibilità di affrontare il tema e delle ragioni dell’Italia» spiega lo storico dirigente del Pd, da tre anni e mezzo presidente di Med-Or, fondazione di Leonardo che ha lo scopo di promuovere relazioni con i Paesi del Mediterraneo, il Medio ed Estremo Oriente e l’Africa Sub-sahariana. «La missione di questa legislatura europea» riflette Minniti «dev’essere riuscire finalmente a governare i flussi migratori e interconnettersi con l’Africa, portarla in Occidente, se vogliamo usare un’espressione simbolica, sottraendola ai tentativi di egemonizzazione di Cina e Russia».

Presidente, quale obiettivo deve darsi il governo italiano?
«Far sì che il Piano Mattei diventi un piano europeo. Ogni euro che Italia e Ue investono in Africa, lo stanno investendo sul loro futuro».

Abbiamo il secondo debito pubblico al mondo, siamo alle prese con tagli dolorosi ma necessari da fare nella legge di Bilancio: come lo finanziamo il Piano Mattei?
«Guardi che i primi progetti stanno già partendo. Oggi, con le guerre che agitano il mondo, i ruoli e le compatibilità geostrategiche hanno un rilievo più importante degli stessi equilibri economici. La politica fa premio sull’economia: si guardi alla Turchia, che ha avuto l’inflazione al 90% ma non è fallita; anzi, ha accresciuto la propria importanza».

Quali sono le mosse da fare nell’immediato?
«Gli accordi bilaterali firmati con i Paesi africani dall’Italia, in intesa con la Ue, stanno dando ottimi risultati. Siamo riusciti a tenere sotto controllo i flussi migratori illegali, tant’è che il premier spagnolo Pedro Sanchez, un socialista, è in missione in queste ore in Senegal, Gambia e Mauritania per sottoscrivere patti analoghi con questi Paesi. Queste intese però hanno bisogno di un quadro di riferimento istituzionale più ampio: la Commissione Ue dovrebbe sviluppare un patto con l’Unione Africana e le Nazioni Unite per la gestione legale dei flussi migratori, con quote d’ingresso assegnate a ogni Paese, e la lotta agli scafisti, che preveda rimpatri volontari assistiti, dando una dote all’immigrato illegale perché torni indietro».

I rimpatri volontari assistiti non sono una chimera?
«Sono possibili: in pochi mesi, tra il 2017 e il 2018, in Libia, ne sono stati fatti 28mila dall’Organizzazione Mondiale per l’Immigrazione. Bisogna partire da quell’esperienza, allargandola ad altri Paesi di partenza».

E degli immigrati illegali già presenti in Europa, cosa ne facciamo: il cancelliere tedesco Olaf Sholz ha annunciato una stretta ed espulsioni?
«Altro obiettivo di questa legislatura Ue dev’essere cambiare il trattato di Dublino, che scarica tutta la responsabilità sui Paesi di primo approdo e lascia sola l’Italia. L’attentatore di Solinger che Scholz vuol espellere è un siriano che arrivava dalla Bulgaria, dove tornerà secondo gli accordi di Dublino, se la Germania lo caccia. Temo che Berlino si riferisse a questo, quando parlava di espulsioni, visto che la Germania non ha accordi con la Siria. Il punto è questo: se si vogliono combattere a livello europeo gli ingressi clandestini bisogna stabilire che, ovunque si sia approdati o si sia varcato il confine, si è arrivati nella Ue. Anche il recente accordo di Lussemburgo, salutato come una rivoluzione copernicana, è inadeguato a risolvere il problema, che per noi è cogente».

La vedo difficile, presidente...
«Non dimentichiamoci che presto avremo, per la prima volta, un Commissario Europeo al Mediterraneo, altro successo dell’Italia, ennesima prova che siamo riusciti ad accendere in Europa un faro sull’Africa».

Ma probabilmente non sarà un italiano...
«Questo è irrilevante. Conta che portafoglio e quali spazi operativi avrà».

Il Papa continua a insistere sul tema della solidarietà agli immigrati, indipendentemente dal fatto che siano legali o illegali. L’Europa deve ignorarlo?
«Il Papa è il capo di una grande religione, il cattolicesimo. Per questo è netto e quando affronta un tema lo fa con la forza dei principi, soprattutto se ha grandi valenze etiche. La cosa peggiore che possiamo fare è coinvolgerlo nel teatrino della politica italiana. Francesco esprime principi assoluti di solidarietà umana, come quando parla di guerra e di pace. La politica si gioca a un livello più terreno».

Perché l’Africa in questo momento è più importante di altri scenari, se le guerre sono in Ucraina e in Israele?
«È la terra dove abitano le risorse nobili del pianeta. Il 60% delle superfici coltivabili nel mondo è in Africa: basterebbe metterle a frutto per risolvere i problemi della fame in tutto il pianeta, non solo in quel continente. E poi ci sono i metalli preziosi, le terre rare: gli Usa, che non hanno i nostri interessi in Africa, hanno finanziato con dieci miliardi di dollari il corridoio di Lobito, che collega Angola, Congo e Zambia, trasportando rame, cobalto e litio, ossia il carburante dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione tecnologica. Lo fanno per contrastare la Cina. In Africa si stanno giocando le partite del futuro».

Anche le guerre?
«Fino a cinque anni fa Sirte, in Libia, era controllata dall’Isis, per rendere l’idea di quanto la minaccia islamista ci è arrivata vicina. La Russia, che è in carenza di soldati, dopo che mezzo milione di giovani hanno lasciato il Paese per evitare la coscrizione obbligatoria, ed è ridotta a tenere i diciottenni in prima linea, non ha tolto un uomo dallo scenario africano; anzi, ha ribattezzato le proprie milizie, ex Wagner “Africa Korps”, come l’armata nazista di Edwin Rommel. E pare ci sia l’intelligence ucraina dietro l’uccisione di decine di militari russi in Mali da parte dei ribelli tuareg. Significa che Volodymyr Zelensky ha capito che la guerra in Ucraina non può risolversi senza un ruolo importante del Sud del mondo. Da qui la visita del ministro degli Esteri ucraino a Pechino e la visita a Kiev del premier indiano Modi».

E poi c’è il tema sicurezza...
«Con l’Afghanistan, oggi l’Africa è il principale incubatore del terrorismo internazionale, con tutte le varianti, autoctone, di Isis e Al Qaeda schierate sul campo. Attualmente sono impegnate in guerre civili, ma non sfugge a nessuno che possono tornare a guardare alla Ue con attacchi organizzati, come qualche anno fa».

L’Italia si troverebbe in prima linea anche su questo fronte?
«Dobbiamo tenere alta la guardia, pur sapendo che abbiamo un sistema di lotta al terrorismo internazionale quasi ineguagliabile. Grazie al lavoro congiunto di intelligence, magistratura e polizia, non abbiamo le fragilità che Francia e Germania hanno dimostrato. Ma il miglior antidoto al terrorismo islamico è l’integrazione; e anche su questo il Piano Mattei può darci una mano».

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