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Schlein, persino elettori e giornalisti amici la implorano di farsi capire meglio

Francesco Damato
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Il buon Federico Geremicca, che conosce bene la sinistra per esservi nato e cresciuto familiarmente, trova Elly Schlein troppo “prudente”. E le ha chiesto sulla Stampa più coraggio, e chiarezza riformistica, anche a costo di sfasciare il campo dell’alternativa che cerca di costruire il più largo possibile, esteso da Matteo Renzi a Giuseppe Conte. Che ne sono i punti più distanti sotto ogni profilo. «Ci si può proporre per il governo del Paese- ha chiesto Federico- se non si è tutti d’accordo sul sostegno all’Ucraina? Si può stare assieme avendo idee così diverse in materia di giustizia e, talvolta, persino di Costituzione? Si può essere indifferenti di fronte alla crescente polarizzazione del mondo (Harris e Trump uguali non sono) e alla crisi montante del sistema Europa?». Specie dopo la sveglia - mi permetterei di aggiungere - che ha cercato di dare Mario Draghi con il suo rapporto sulla competitività dell’Unione che ha incuriosito Giorgia Meloni, sino a chiedergli un appuntamento per parlarne a Palazzo Chigi, e lo ha reso ancora più ostico a Conte. Che non gli ha ancora perdonato di essergli succeduto proprio a Palazzo Chigi prima che vi arrivasse la premier in carica da quasi due anni.

Paolo Flores d’Arcais, un altro che conosce bene la sinistra ma di un tipo diverso da quello familiare a Geremicca, avendo preteso a suo tempo di ispirarla nella forma più estremistica e girotondina possibile, ha dato alla Schlein della “dadaista” in una recente intervista al Foglio. Dadaista, al di là del richiamo all’omonimo movimento di protesta sorto dopo la Prima guerra mondiale, dal balbettio d’esordio - dada, appunto - emesso dai bambini come espressione vocale, senza significato.

 

 

 

È un po’ come ha fatto la segretaria del Pd nel salotto televisivo di Corrado Formigli rispondendo alle domande sul programma alternativo al centrodestra e cadendo ogni tanto nella insofferenza del conduttore, come una volta le capitò nel salotto adiacente di una Lilli Gruber che, pur con tutta la sua esperienza professionale, non riusciva a comprendere le sue risposte e le chiedeva come potesse immaginare di essere compresa dagli elettori. E infatti gli elettori dopo averla premiata nel voto europeo di giugno, spingendola al 24% e facendole sorpassare di ben 14 punti il movimento grillino che la incalzava, mostrano segni di stanchezza e delusione, a dir poco.

Proprio nella Piazza Pulita di Formigli, “l’imprevista”, come la segretaria del Pd si è compiaciuta di chiamarsi anche nel titolo del suo libro fresco di stampa, si è sentita e vista raccontare da Renato Mannheimer, con i dati di un sondaggio appena condotto, di avere perso più di un punto e mezzo di “intenzioni di voto” rispetto ai risultati delle elezioni Europee. Quasi quanto ha invece guadagnato il partito di Giorgia Meloni pur con tutti gli accidenti, reali o presunti, del governo nelle ultime settimane, compresa naturalmente la vicenda intestata all’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e alla sua mancata consigliera, amica, chissà se amante e quant’altro Maria Rosaria Boccia. Che nella mancata - anch’essa - intervista rilasciata a Bianca Berlinguer per la quarta rete berlusconiana ha voluto smentire o ridimensionare Sangiuliano pure nella relazione “sentimentale” da lui confessata in televisione, con tanto di scuse alla moglie. Se relazione vi è stata - ha avvertito la Boccia - non si è spinta sino al sesso. Povero Gennaro, mi è venuto spontaneo di dire con biasimevole spirito maschilista leggendo le parole riferite da Bianca e riportate fra virgolette sulla prima pagina del Corriere della Sera.

 

 

 

Mannheimer ha fatto alla Schlein la cortesia, cavalleresca e politica, di tradurre quel punto e mezzo perduto fra le elezioni di giugno e il suo sondaggio quasi autunnale in una “tenuta” del Pd. Una tenuta anch’essa dadaista, direi, perché si è trattato e si tratta, più realisticamente e semplicemente, di un arretramento. Paradossalmente opposto, peraltro, all’avanzamento di un Conte pur in difficoltà per le condizioni imbarazzanti, quasi comiche, in cui il MoVimento 5 Stelle si trova dopo l’offensiva aperta contro il suo presidente dal fondatore, garante, elevato, anzi “sopraelevato” Beppe Grillo, come lo stesso Conte lo ha ironicamente definito rifiutando di considerarsi sottostante.

 

 

 

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