"Siamo orgogliosamente donne e uomini di sinistra. E proprio per questo – non nonostante questo – vogliamo ricordare l’assassinio di Sergio Ramelli come una pagina brutale, di cui abbiamo orrore e vergogna. È atroce e vile che si sia colpito a morte un giovane solo a causa delle sue convinzioni, e che lo si sia fatto in nome di presunti ideali di sinistra". Bella e nobile questa dichiarazione, vero? Infatti non l’avete letta, non è stata scritta, non è stata pubblicata, e – anche in questo anniversario – le prese di posizione di esponenti della sinistra si sono contate su poche dita di una sola mano. Peggio ancora: anche quando – qua e là – qualche flebile intervento si registra, è sempre psicologicamente “trattenuto”, accompagnato da un “ma”, da un bilanciamento, da una precisazione, da una surreale esigenza di evitare che la solidarietà sia totale, incondizionata e priva di note a margine. E allora ecco il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che, interpellato sull’eventuale intitolazione di una strada alla memoria di Ramelli, devia elegantemente – ma soprattutto furbescamente – verso “tutte le giovani vittime del terrorismo”. Ecco l’esponente del Pd Walter Verini che – bontà sua – concede che sia “giusto ricordarlo”, ma subito si affretta a precisare che vanno bandite le “simbologie di odio e di violenza”. Insomma, nessun braccio teso: e l’ossessione dei più sembra essere proprio il braccio teso (fuori dal tempo, questo è chiaro, siamo nel 2025), e non la sequenza di colpi sulla testa di un ragazzo cinquant’anni fa.
Il contrappasso è totale, e, se non parlassimo di eventi altamente drammatici, ci sarebbe perfino motivo per sorridere di questo doppio standard. In occasione del 25 aprile, anche se da almeno trent’anni le dichiarazioni di condanna del fascismo da parte degli esponenti della destra e del centrodestra sono chiarissime, inequivocabili, limpide, a sinistra quelle parole non sembrano bastare mai: si richiederebbe sempre una frase in più, alzando ancora l’asticella, sottolineando ogni volta una presunta omissione. Poi però, quando toccherebbe a loro dire mezza parola chiara, non velata da perifrasi e circonlocuzioni, non ce la fanno: e i loro comunicati appaiono legnosi, più studiati che sentiti, in ultima analisi diplomatici (quando va bene) ma reticenti e insinceri.
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Sergio Ramelli è diventato anche un caso editoriale. In occasione del cinquantesimo anniversario della morte, inf...E allora diciamolo in modo esplicito: è semplicemente vergognoso che, per troppi anni, solo a destra si sia commemorato Ramelli, come se soltanto a chi è idealmente vicino alla memoria di quel giovane toccasse o tocchi il compito di non disperderne il ricordo. E invece no: toccherebbe e tocca a tutti. Dirò di più: toccherebbe in primo luogo ai portatori di convinzioni opposte, affinché – almeno oggi – si affermi senza subordinate la regola per cui nessuno possa essere colpito a causa delle proprie idee. Un concetto scontato, amici lettori? C’è da temere di no. Anche e perfino oggi.