Generale Vannacci, l'intervento: la cittadinanza rapida serve solo a una sinistra in cerca di elettori

L'intervento del generale Vannacci: nel mirino il referendum di giugno, ecco perché è utile soltanto ai progressisti
domenica 4 maggio 2025
Generale Vannacci, l'intervento: la cittadinanza rapida serve solo a una sinistra in cerca di elettori
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L’obiettivo del referendum di giugno sull’immigrazione è dimezzare gli anni di minima residenza legale in Italia (da dieci a cinque) per poter accedere alla cittadinanza. Partiti e associazioni della Sinistra parlano di un atto di inclusione e civiltà. La verità è un’altra: non c’è alcuna necessità di cambiare una legge che funziona benissimo e che, solo nel 2022, ha garantito ben 210.000 nuove cittadinanze, il numero più alto della UE. Nessun bisogno sociale, nessun motivo giuridico, nessuna urgenza politica. Stiamo assistendo solamente all’ennesimo tentativo di svendere l’identità italiana per fare cassetta elettorale distruggendo, al contempo, quel poco di stato sociale che ci è rimasto. Andiamo per punti.

Chi risiede stabilmente in Italia o chi nasce in Italia da genitori stranieri non è apolide e privo di cittadinanza. La stragrande maggioranza delle persone interessate a una possibile riforma è già in possesso della cittadinanza del proprio paese d’origine, trasmessa per nascita: per ius sanguinis, lo stesso principio che si applica agli italiani di origine. L’idea che queste persone “abbiano bisogno” di diventare italiani per esistere o essere riconosciuti è falsa. La cittadinanza italiana sarebbe un’aggiunta, non rappresenta una condizione per vivere, significherebbe promuovere l’istituto della doppia cittadinanza in modo generalizzato, senza che vi siano reali motivazioni.

Chi lavora in Italia, e quindi paga le tasse nel nostro paese, non ha alcun diritto di ottenere una scorciatoia per la cittadinanza italiana. Il lavoro è un’attività retribuita in cui il lavoratore riceve in cambio un salario, non è un atto di beneficenza nei confronti dello Stato o del datore di lavoro. Allo stesso modo, pagare le tasse non è un gesto meritorio che giustifichi un premio. È il normale contributo che ogni persona che genera reddito in un paese è tenuta a versare, ricevendo in cambio l’accesso ai servizi pubblici. Vivere in un paese non equivale a diventarne cittadino.

Questo principio è valido in tutto il mondo e risponde a una logica precisa: la cittadinanza implica un’appartenenza profonda, culturale, simbolica, oltre che giuridica. Non si riduce a un mero dato anagrafico. L’Italia, peraltro, non nega nulla a chi vi risiede regolarmente: sanità, istruzione, accesso ai trasporti pubblici, al welfare, alla tutela civile e giuridica. Anche alcune forme di sostegno economico, come l’assegno sociale, sono accessibili per cittadini stranieri extra UE, ma con requisiti chiari e verificabili.

La cittadinanza non favorisce l’integrazione. L’esperienza di molti paesi europei – Francia e Belgio in testa – dimostra il contrario. La cittadinanza concessa in modo facile e veloce non ha impedito la nascita di quartieri -ghetto, né ha fermato la radicalizzazione di giovani che, pur nati, cresciuti e formati in Europa, si sentono estranei alla cultura del paese in cu vivono. Per tutti questi motivi la cittadinanza dovrebbe essere il punto d’arrivo di un percorso, non il punto di partenza; un traguardo, non un automatismo. Va concessa a chi ha dimostrato concretamente di voler far parte della comunità italiana, non solo sul piano formale, ma anche su quello culturale, linguistico, civico; a chi rappresenta un valore aggiunto per l’Italia, a chi porta talento, eccellenza, scienza, cultura... Deve rappresentare un riconoscimento, ma anche una selezione, in quanto lo Stato ha tutto il diritto – e il dovere – di valutare se il nuovo cittadino porterà un beneficio alla collettività o sarà semplicemente un numero o, peggio, un peso in più. Non dobbiamo distribuire cittadinanze in base a slogan o convenienze. La Sinistra spinge per una cittadinanza “facile”, per mero calcolo elettorale perché l’unica prerogativa che manca allo straniero è il diritto di voto alle politiche. Eccolo il vero motivo, altro che atto di inclusione e civiltà. Ed ecco anche il perché Referendum Delendum Est!

di Roberto Vannacci
Eurodeputato della Lega

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