Laura Boldrini e compagni vogliono invadere Gaza

La missione di Laura e compagni: "Entrare nella Striscia per aiutare i palestinesi". Così rischia di alimentare l’odio nei confronti di Israele e screditare l’Italia
di Pietro Senaldigiovedì 15 maggio 2025
Laura Boldrini e compagni vogliono invadere Gaza
4' di lettura

Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni, sentenziava Ovidio nelle “Metamorfosi”. A non cambiare mai sono Laura Boldrini e quella sinistra più estrema che progressista. Domani l’ex presidente della Camera partirà alla guida di una delegazione di parlamentari, accademici, rappresentanti di organizzazioni non governative e giornalisti. Rotta sul Cairo e poi al valico di Rafah, chiuso da oltre due mesi, all’incrocio tra Israele, Egitto e Gaza. Obiettivo dichiarato: «Entrare direttamente nella Striscia per far sapere agli abitanti che non sono soli». Nemico pubblico: «Il governo criminale di Israele, che sta sterminando un popolo e non ha ancora risposto alle nostre richieste»; per inciso, le richieste erano di spostare i carri armati dal valico per far entrare lei e i suoi compagni di ventura alla ricerca di qualsiasi cosa possa screditare lo Stato Ebraico agli occhi dell’opinione pubblica mondiale.

Boldrini non è ancora partita ma per come parla sembra già tornata. Sa tutto, in special modo il nome dei colpevoli. Oltre a Benjamin Netanyahu, l’Europa, «che è morta sotto le macerie di Gaza per l’incapacità di reagire a quanto sta accadendo», e naturalmente Giorgia Meloni, «complice di uno sterminio perché non è riuscita a dire una parola di cordoglio» sui palestinesi morti. Verrebbe da archiviare il tutto come l’ennesima uscita sopra le righe dell’ex presidente della Camera, insensibile all’appello del Papa a moderare i toni e «disarmare le parole per disarmare la guerra», un po’ come quando, giusto una settimana fa, in Parlamento chiese alla presidente del Consiglio di fermare la guerra tra India e Pakistan, «visto i suoi buoni rapporti con Modi».

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Invece bisogna prenderla sul serio. Primo perché non è sola: con lei ci sono una dozzina di parlamentari, dagli immancabili Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, ai redivivi Alessandro Zan e Andrea Orlando, fino a qualche grillino, anonimo come tutti ormai nel Movimento, escluso Giuseppe Conte. Secondo perché la signora non si rende conto di quel che fa: verrebbe da pensare che cerca l’incidente, poi riflettendo sulla sua deriva prevale la tesi che sia fuori di testa. Per fortuna, ed è augurabile resti sempre così, l’eroismo e l’altruismo dei compagni di casa nostra da tempo non si spinge mai fino a rischiare del proprio. Terzo perché la sua esibizione al valico di Rafah non è certo mirata ad aiutare la gente di Gaza, quanto piuttosto ad alimentare ulteriore odio nei confronti di Israele e a screditare l’Italia e il suo governo. Incerto è solo quale, tra i due scopi, sia quello prioritario per la delegazione.

Del popolo palestinese, alla sinistra pro-Pal, importa davvero poco. Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che non fanno mai nulla per combattere le discriminazioni razziste di cui esso è vittima nel mondo arabo: in Libano i palestinesi non possono esercitare professioni, in tutti i Paesi del Golfo è impedito loro di prendere la cittadinanza dello Stato in cui vivono e lavorano, ma mai una voce si è alzata in difesa delle loro ragioni da parte di chi domani partirà per Rafah. Il destino degli abitanti della Striscia di Gaza è quello di essere lo strumento attraverso il quale si fa la guerra a Israele. I terroristi di Hamas lo dicono esplicitamente, quando affermano di «aver bisogno del sangue dei martiri innocenti» per annientare il nemico sionista. Il mondo arabo così li ha trattati fin dagli anni Quaranta, senza far nulla per i palestinesi se non finanziare il terrorismo che li tiene prigionieri e sabotare ogni progetto favorevole alla costituzione di due Stati. La sinistra occidentale si è fatta dettare la linea dall’Unione Sovietica, nel 1967, anno della Guerra dei Sei Giorni, quando il Cremlino decise che Israele era un nemico e i comunisti europei, che fino al giorno prima lo esaltavano come esempio di socialismo reale per i kibbutz, batterono i tacchi e cambiarono senso di marcia.

Per fortuna loro, e nostra, i pellegrini di Rafah non riusciranno a entrare a Gaza. Casomai ci entrassero, potrebbero provare a fare due cose che nessuno si aspetta da loro. La prima è chiedere di poter incontrare qualcuno dei 58 ostaggi rapiti dai terroristi islamici il 7 ottobre 2023 e ancora nelle mani dei tagliagole; magari per portarci anche la loro testimonianza. La seconda dare conto dei palestinesi, sempre più numerosi, che protestano contro Hamas, ritenendo di essere prigionieri del gruppo armato e non di Israele. Non c’è da illudersi: chi ha mai sentito Boldrini e soci allontanarsi di un centimetro dalla monorotaia su cui viaggiano i loro pensieri? In uno scontro tra estremismi, come sta sempre più diventando quello innescato dall’eccidio di un anno e mezzo fa, in fondo la delegazione della sinistra nostrana si trova nel proprio ambiente.

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