Datemi un martello! Che cosa ne vuoi fare? Lo voglio dare in testa a... Elly Schlein. Sì certo, la sinistra suona la gran cassa per aver ripreso Genova dopo otto anni. La segretaria dem rivendica la vittoria di Silvia Salis, la candidata sostenuta da tutto il campo largo, come un proprio successo personale. Ho ragione io, «se siamo uniti vinciamo, Meloni inizi a preoccuparsi», è la sfida lanciata dalla Nazarena, che fa leva sul voto amministrativo per rafforzare la propria candidatura per Palazzo Chigi nel 2027 come front-woman dell’ennesima riedizione del fronte popolare. In effetti il risultato del capoluogo ligure sembra dire che l’unità a sinistra fa la forza, l’alleanza compatta si afferma a prescindere dalle qualità dei candidati.
Tra Salis e Pietro Piciocchi, la proposta del centrodestra, quanto a competenze, non avrebbe dovuto esserci partita. Lei è un ex atleta, specialità lancio del martello appunto, sposata felicemente con il regista Fausto Brizzi, phisique du role perfetto per le terrazze romane, dove ha trovato modo di riciclarsi come consigliere prima e vicepresidente poi del Coni. Però, quanto a capacità di amministrare, il suo martello è lanciato nel buio, potrebbe infrangere le speranze che in lei hanno riposto molti genovesi.
Elly Schlein, la sparata: "Giorgia Meloni? Inizierei a preoccuparmi"
Fermi tutti: hanno vinto a Genova! E in altre città! Come Ravenna! Ergo... stiamo arrivando! Almeno così l...Era un nome buttato lì da Andrea Pericu, figlio del compianto sindaco socialista Beppe, non contrariava nessuno, ha avuto il benestare di Andrea Orlando e la proposta è passata. Ma, a parte le gesta olimpiche che le sono valse la carica federale, la sola cosa che Salis può vantare nel curriculum era un padre iscritto al Partito Comunista. Piciocchi invece era una garanzia, l’uomo macchina del sindaco Marco Bucci, uscito indenne dall’inchiesta che ha travolto la giunta regionale di Giovanni Toti, con cui l’ex primo cittadino collaborava attivamente. Piciocchi aveva venti deleghe, il progetto di sviluppo della città scolpito nella testa, conoscenze, capacità, determinazione. Sarebbe stato il sindaco perfetto, eppure... Ha pagato colpe non sue, le scorie dell’inchiesta di un anno fa, il tradimento di personaggi del sottobosco genovese che sostenevano Bucci e Toti e hanno cambiato cavallo per salvarsi, la voglia dei cittadini di lasciarsi alle spalle una storia vincente ma pesante, anche il fatto di essere stato abbandonato da buona parte del centrodestra, che su di lui e la città non ha scommesso quanto avrebbe dovuto.
Così è andata la commedia ligure e Schlein ride a settantadue denti. A Genova è riuscita a mettere insieme grillini e renziani, renziani e calendiani, dem e grillini: una meraviglia progressista... Il tema vero del capoluogo ligure però è un altro: non quello che, tutta unita, la sinistra può vincere, perché è risaputo che sia cosi. Il tema è che, per unire tutta la sinistra, il Pd può giocare da regista, come ha fatto in questo caso, ma deve fare un passo indietro. E ha dovuto farlo perfino nell’unica grande città dove l’attuale segretaria aveva trionfato anche alle primarie di partito, quelle ristrette agli iscritti, che avevano visto il successo nazionale di Stefano Bonaccini. I dem a Genova avevano quattro candidature di partito forti, l’onorevole Alberto Pandolfo, i campioni di preferenze regionali Federico Romeo e Armando Sanna, il consigliere comunale e amministratore di Ente Bacini Alessandro Terrile. Ma su nessuno di loro il campo largo trovava la quadra. Genova è la riprova che serve il Papa straniero per unire la sinistra, come ai tempi del fu Romano Prodi, perché con un candidato dem non si va da nessuna parte. E se serve in Liguria, a livello nazionale il Papa straniero è irrinunciabile, specie se, come nel caso della Nazarena, un ipotetico candidato dem sarebbe divisivo all’interno dello stesso partito. Giuseppe Conte può fare un passo indietro sotto la Lanterna per lasciare spazio a una personalità d’area, renziani e calendiani sul territorio possono trovare un’intesa di potere, il Pd locale può, a livello amministrativo, accontentarsi del ruolo di burattinaio e di socio forte occulto. Ma quando in ballo ci sono l’Italia e il governo, lo schema non tiene. Se vorrà unire il campo largo e provare a vincere, Schlein dovrà rassegnarsi a fare un passo indietro e mediare su un candidato d’area, così come hanno fatto i suoi a Genova, la grande città italiana più vicina alla segretaria dem.