Sul Diario di Josef Goebbels non c’è alcun appunto sull’attentato di via Rasella né il 23 né il 24 marzo 1944. Solo il 25 il ministro della propaganda del Reich annota: «A Roma è stato effettuato un attentato su una colonna di polizia tedesca che marciava, 30 uomini sono caduti. La polizia ha chiuso tutto il quartiere e trovato nelle cantine degli edifici sabotatori italiani. Questi ultimi sono stati fucilati sul posto. Per ogni futuro attentato a Roma saranno ogni volta fucilati 10 italiani. Io credo che gli italiani, vista la loro indole, a tutti nota, perderanno presto ogni voglia di ulteriori attentati». Non è un resoconto dell’accaduto, al quale comunque Goebbels non sembra prestare molta attenzione, ma una superficiale sintesi interpretativa che parte da un nucleo di verità perdendosi poi in una ricostruzione fantasiosa. È invece inverso il percorso narrativo e ricostruttivo adottato da Lutz Klinkhammer e Alessandro Portelli nel volume La fiera delle falsitá – Via Rasella, le Fosse Ardeatine, la distorsione della memoria (Donzelli, pp. 150, euro 15,00). Più che scritto a quattro mani, è un saggio a due voci che si contrappuntano, in un esemplare dialogo sui fatti che vengono sfrondati dall’agiografia, allontananti dall’inquadramento politico, isolati dalle strumentazioni del dopoguerra giunte sino ai giorni nostri, per risalire alla fonte della storia, non più intorbidata come a valle.
I due storici isolano gli elementi che ancora oggi distorcono i fatti e la loro comprensione, dimostrandone l’infondatezza, a partire dalla strabusata immagine di Roma città aperta. Unilateralmente dichiarata dal Maresciallo Pietro Badoglio per risparmiarle i bombardamenti, strumentalmente ritenuta tale dai tedeschi e dai fascisti, l’Urbe fu una città occupata. E l’occupazione non fu affatto mite, come sottolinea Klinkhammer richiamando tra le altre cose la deportazione dei Carabinieri il 6 ottobre, preliminare alla razzia nel Ghetto del 16, con l’invio di 1.020 ebrei ad Auschwitz. In questo contesto di arbitri, arresti, torture, violenze, invii nei campi di concentramento, maturò l’attentato dei Gap ai poliziotti del battaglione “Bozen” in via Rasella. Per quanto nelle fasi processuali del dopoguerra fosse stata eccepita l’illegittimità di quell’attacco partigiano, esso rispondeva pienamente alla logica di un conflitto e alla prassi operativa. La vendetta nazista avrebbe prodotto l’eccidio di 335 persone alle Fosse Ardeatine. Ma non c’era mai stato un bando nel quale si intimava ai responsabili di consegnarsi a pena della fucilazione di ostaggi, come non c’era nessun obbligo a farlo, e neppure la minaccia di passare per le armi dieci italiani per ogni tedesco: si tratta di creazioni apocrife.
Pd, pur di manifestare contro Israele usa anche i morti di Marzabotto
Una grande manifestazione per Gaza. E voi direte: sai che novità... Già, ma questa volta non si tratta di ...Il problema della rappresaglia era stato ponderato all’inizio della guerra partigiana, ma se fosse bastato il deterrente non ci sarebbe stata alcuna guerra partigiana. I miti della falsa memoria sugli eventi, sulle cause e sulle conseguenze, resistono nell’immaginario collettivo, addirittura con una narrazione di miti correlati, come precisa Portelli. In questa “fiera delle falsità” rientra anche la natura personale e di corpo dei poliziotti del “Bozen” e per smontarle non occorrono troppe parole. Rem tene, verba sequentur, ammoniva Catone il censore, e Klinkhammer e Donzelli ne hanno ben applicato lo spirito.