Forse siamo noi a non comprendere né la lungimiranza strategica né l’accortezza tattica dell’opposizione. Ma – ecco il punto – nel giorno in cui, dai suoi cunicoli, l’ayatollah Khamenei torna a delirare e a vomitare odio contro Israele, e nel giorno in cui nelle città italiane compaiono orribili manifesti anti -israeliani e anti -semiti, la sinistra italiana quasi senza eccezioni, a partire dal suo partito maggiore, che fa? Per un verso sparacchia contro Israele, eleggendo a suo principale nemico politico il governo di Gerusalemme, e per altro verso minaccia la Commissione Ue – per bocca di Elly Schlein in persona – per un rischio di annacquamento del Green Deal.
Sul secondo fronte, qualunque persona non ideologizzata e minimamente ragionevole non può che auspicare un ammorbidimento della linea europea eco-talebana: anzi, il vero rischio è che il rallentamento sia troppo piccolo, inadeguato, simbolico. Laddove servirebbe proprio uno sbianchettamento integrale del Green Deal.
CONTROMANO
Ma il Pd – correndo in autostrada contromano e a tutta velocità – polemizza esattamente per la ragione opposta: vuole ancora più Green Deal e ancora più velocemente. Insomma, serve che il crollo dell’automotive sia più drammatico e verticale, che il regalo alla Cina sia più gigantesco, che la desertificazione industriale sia più rapida e irreversibile, e la perdita di posti di lavoro sia più devastante. Follia? Giudicate voi.
Quanto al primo versante, ormai nel centrosinistra le voci in grado di svolgere un discorso non ideologico sulla questione mediorientale, e di non abbandonarsi a una deriva di estremismo anti-israeliano, si contano su poche dita di una sola mano. Peggio: sono isolate e perfino costrette a giustificarsi, chiamate a precisare di parlare a titolo personale. Perché la linea (dal Pd ad Avs ai Cinquestelle) è irrevocabilmente ostile a Gerusalemme. Parlano chiaro le risoluzioni depositate alle Camere all’inizio di questa settimana e gli stessi interventi dei leader dei tre partiti maggiori della futura coalizione: minime prese di distanza (e nemmeno sempre) dal regime di Teheran e invece attacchi selvaggiamente duri contro Netanyahu.
COMPETIZIONE INTERNA
Ora, è lecito porsi un interrogativo sulle ragioni di questa deriva estremistica. Delle due l’una. O a sinistra hanno inconsapevolmente rinunciato a parlare a un’altra porzione di opinione pubblica, e si sono avvitati in questa spirale massimalista senza nemmeno rendersene conto, prigionieri della loro competizione interna. Oppure – e non so quale delle due ipotesi sia peggiore – lo hanno fatto consapevolmente, scegliendo cioè di contendersi solo il consenso di un terzo del paese, realizzando una sorta di “Avs allargata”, o comunque portando la sfida incrociata tra Pd, Conte e Bonelli-Fratoianni su un terreno congeniale solo a quella che un tempo veniva definita “sinistra radicale”. E tutti gli altri? O politicamente sottomessi o buttati fuori. Qualunque sia la spiegazione esatta, la domanda sorge spontanea: dove porterebbe l’Italia questa comitiva se disgraziatamente avesse future responsabilità di governo?