Dazi, Giorgia Meloni inizia la partita delle esenzioni

di Fausto Cariotimartedì 29 luglio 2025
Dazi, Giorgia Meloni inizia la partita delle esenzioni
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«C’è ancora da battersi», avverte Giorgia Meloni. Perché quello siglato da Ursula von der Leyen con Donald Trump è «un accordo di massima, giuridicamente non vincolante», e dunque «bisognerà studiare i dettagli e lavorare ancora». Sul fatto che raggiungere l’intesa sia stata la scelta migliore, la premier non ha dubbi. Però niente entusiasmi. In quei «dettagli», come noto, si può nascondere il diavolo. E poi c’è la partita, potenzialmente enorme, dei prodotti che entrambe le parti decideranno di escludere dai dazi: «Bisogna verificare quali siano le possibili esenzioni, particolarmente su alcuni prodotti agricoli. C’è una serie di elementi che mancano».

Per tutti questi motivi, Meloni pesa le parole. Rispondendo ai giornalisti ad Addis Abeba, dove si trova per il vertice Onu sull’alimentazione, giudica «positivamente il fatto che si sia raggiunto un accordo», giacché «un’escalation commerciale avrebbe avuto conseguenze imprevedibili, potenzialmente devastanti». E ribadisce che secondo lei «la base di dazi al 15%, se ricomprende i dazi precedenti, che di media erano intorno al 5%, è sostenibile». Dopodiché, appunto, «bisogna andare nei dettagli». E lavorare ancora.

Soprattutto per i settori «particolarmente sensibili», come la farmaceutica e le automobili. Qual è il dazio per queste merci? «Mi pare siano all’interno del 15%», dice Meloni, che però aspetta di vedere le carte che non ha nemmeno von der Leyen, con cui la premier avrebbe poi avuto uno scambio di opinioni. Né è chiaro, avvisa, «a cosa ci si riferisca quando si parla di investimenti, acquisto di gas e compagnia».

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L’accordo prevede infatti chele aziende europee investano negli Stati Uniti 600 miliardi di dollari nei prossimi anni: una previsione che, hanno spiegato alti funzionaridi Bruxelles, «l’Ue, essendo un’autorità pubblica, non può garantire». Perché la decisione spetta alle imprese private, i cui manager rispondono agli azionisti, non alla Commissione. Inevitabile che Meloni, come gli altri leader europei, voglia leggere con la lente d’ingrandimento queste clausole.

Quanto ai prodotti che saranno esentati dai dazi americani, sapere con precisione quali siano - che ne è del vino? E dei formaggi? - non è cruciale solo per chili produce e li vende, ma anche per chi governa. Perché per i settori «sensibili» che non saranno esentati, come hanno detto Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini, a Roma sono «pronti ad attivare misure di sostegno a livello nazionale», e chiedono che ne siano attivate anche a livello europeo.

Il giro di incontri tra governo e imprese per capire quali siano le forme di aiuto più efficaci è iniziato ieri, con la convocazione delle associazioni dei produttori (Confindustria, Coldiretti, Confapi, Confcommercio, Federvini...) alla Farnesina e la creazione di una task force mista governo-imprese. Le discussioni dovrebbero proseguire settore per settore, concentrandosi su quelli più penalizzati. Passa per Bruxelles la proposta di Tajani di potenziare, almeno per qualche tempo, lo “Sme supporting factor”, strumento che consente alle banche di applicare un coefficiente di rischio ridotto, e quindi un tasso d’interesse più basso, ai prestiti concessi alle piccole e medie imprese.

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Sul tavolo anche l’ipotesi di adeguare il Pnrr alla nuova situazione, ricalibrandone una parte (si parla di 14 miliardi di euro) per fornire ossigeno alle aziende. Altri strumenti che l’Italia valuta di proporre ai partner Ue sono la riprogrammazione dei fondi di coesione in favore delle imprese colpite e – ipotesi estrema – una revisione del patto di stabilità.

Da parte esclusivamente italiana, si punta invece a coinvolgere la Sace, l’assicurazione specializzata nel sostegno alle imprese, e la Simest, che assiste gli imprenditori nazionali sui mercati esteri, ambedue controllate dal ministero dell’Economia, per accompagnare le aziende italiane nello sbarco su nuovi mercati. Il leader di Forza Italia e quello della Lega chiedono però alle istituzioni europee di andare oltre le semplici politiche commerciali. Tajani avverte che l’euro che continua a rivalutarsi «è preoccupante, è una sorta di altro dazio: il dazio è il 15% e la svalutazione del dollaro è del 17%». Ipotizza quindi un intervento della Banca centrale europea: «Si potrebbe continuare a ridurre il costo del denaro, si potrebbe pensare anche a un quantitative easing», l’«alleggerimento quantitativo» che consiste nell’acquisto di titoli di Stato o obbligazioni sul mercato da parte della Bce, per immettere liquidità e far scendere i tassi d’interesse. Mentre Salvini punta ancora l’indice contro le regole del programma europeo di decarbonizzazione forzata: «Sono un massacro per le nostre imprese. Se la von der Leyen non azzera il Green Deal questo non dipende da Trump, ma da chi non vuole riconoscere il proprio errore».

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