Voglio fare una cosa di sinistra, voglio provare il brivido dell’essere un perfetto compagno, ma che dico, desidero finalmente sentirmi socialmente accettato dai cenacoli del «mai con Trump» e «Palestina libera dal fiume al mare». Mi hanno spiegato che per realizzare questa mia scalata di classe devo prima di tutto aderire al boicottaggio dei prodotti americani e israeliani. Devo riscattare la mia vita, almeno in quest’ultima fase, prima del lungo addio, dunque sono pronto, che il boicottaggio abbia inizio, alla fine di questa cura depurativa del mio fisico e della mia anima, mondato dai miei peccati, sarò un perfetto democratico, uno di quelli con la schiena dritta, una sagoma da salotto, ammaestrato per una cena dove tutti si danno ragione. Mi sveglio alle 5:30, devo leggere la rassegna stampa, cos’avrà la concorrenza? Accendo il telefonino... alt! È un iPhone, assemblato in Cina, ma pur sempre americano, non si può trasgredire al primo pulsante del giorno, suvvia, hai appena aderito al boicottaggio, rispettalo.
Spengo tutto e cerco alternative digitali per leggere i giornali. Il mio personal computer? No, è un Macbook, sempre di Apple, microprocessore americano, la faccenda si fa complessa, mi sento leggermente disconnesso dal mondo e la giornata è solo ai colpi di riscaldamento da fondo campo. E se usassi i computer dei miei figli? Franzi ha un Macbook, quindi non c’è trippa per gatti, altro giro e altra corsa; Ale ha un personal computer, l’illusione dura un nanosecondo, gira tutto su sistema operativo Windows, Microsoft Corporation, roba dell’americanissimo Bill Gates. Vabbè, è l’alba, rinuncio alla rassegna e decido di scendere in edicola. Cerco una camicia... no, aspetta, io uso le Brook’s Brothers, «regular fit» (che per i miei chili significa «largo e comodo»), sono sempre quelle acquistate a New York e Washington, non le posso indossare!
Sarebbe alto tradimento, come uscire di casa con la bandiera a stelle e strisce. Eh, ma non ne possiedo altre! Si può anche variare l’abbigliamento per una volta, posso mettere una polo, in fondo è estate e il casual fa tanto democratico, una figura da candidato dem alle primarie. Sembra facile, poi vai a frugare nell’armadio e scopri tutto il tuo passato da «servo della Casa Bianca»: questa di Ralph Lauren l’ho acquistata a Miami durante la campagna presidenziale (faceva un caldo micidiale, nel grande magazzino mi fermai soprattutto a osservare un fucile Winchester) e questa qui di Tommy Hilfiger l’ho esfiltrata da Palm Beach quando sono andato a Mar-a-Lago, niente da fare ma... ecco il salvagente dello “streetwear” che arriva dalla cara vecchia Europa... una Lacoste bianca, immacolata, fa quasi torneo di Wimbledon, c’è solo un problema, è di quindici chili fa. Ok, dai, è strettina, sembro tanto l’omino Michelin, ma sarò quasi in incognito, sotto copertura, scendo e risalgo subito a casa, poi andrò in redazione con qualcosa di diverso addosso. Prendo i giornali e rientro in un quarto d’ora, agosto sta arrivando al galoppo, sarà pure l’inizio del giorno, ma a Milano quasi non c’è più anima viva.
NEMMENO LE CIALDE
È l’ora di un caffè, tutto questo boicottaggio mi assorbe la concentrazione, ho una macchina Nespresso, quindi tutto regolare, azienda Svizzera, grande cosa scoprire la preziosa neutralità della caffeina, occhio, c’è un problema in vista, nella dispensa ho solo le cialde di Starbucks, americane, sono circondato dagli Yankees. Scatta la ricerca speleologica in cucina, non trovo la moka tra le stoviglie, di caffè come quello che faceva la mamma non ne vedo un chicco, rinuncio alla mia tazzina corroborante, d’altronde il boicottaggio deve essere inflessibile. Meglio darsi alla lettura, mi piego per prendere i giornali e straaaaaap! no, non è il colpo della strega, è la mia ciccia che è andata in rotta di collisione con il cotone, s’è scucita la Lacoste. L’Europa non regge allo stress test del cotone, chissà cosa direbbe Emmanuel Macron di fronte a questo sbrego.
Sono ancora a secco di notizie dell’ultima ora, che è come smettere di fumare in una casa d’oppio. Che scemo, ma posso ascoltarla, la rassegna stampa, perché non ci ho pensato prima? Ecco qui, un momento di piacere, finalmente, quando mi faccio la barba è un mix perfetto. «Alexa, vai su Radio 24...», ma sono impazzito, che dico? «Alexa?», non posso usare Echo, questa è tecnologia di Amazon, è tutta un’invenzione di quel convertito al trumpismo, Jeff Bezos! «Alexa, spegni tutto!».
NIENTE CONNESSIONI
Che boicottaggio sia... niente più connessioni, siamo circondati dalla Rete Americana, dunque accendo la radio e sono salvo, ho un impianto Bose, una meraviglia... Povero illuso di un Sechi, la tua radio muta deve restare, perché Bose è un’azienda americana, è stata fondata da Amar Bose nel 1964 e ha sede a Framingham, nel Massachusetts. Vabbè, mi farò la barba in monastico silenzio, si sentirà solo il fruscio della lama sulla schiuma (è inglese e God Save The Queen dei Sex Pistols ci starebbe bene) senza notizie e musica, si fa davvero tutto per la causa della sinistra, ora capisco la passione dei compagni, si parte da un’austera barba e si prosegue con una doccia da frate trappista, in fondo il sacrificio vale il premio, devo presentarmi alla prossima cena progressista con le carte del boicottaggio in regola. Apro il mobiletto del bagno, prendo le lamette... Mi taglio le vene, noooooooo! Santo protettore dei rasoi, ma sono Gillette, americane, l’azienda fu fondata a Boston nel 1901 da King Camp Gillette, oggi fa parte del gigante della grande distribuzione Procter & Gamble. Mi passano in mente tutti i barbieri di una vita nomade, quelle spennellate di schiuma, il rasoio che carezza la gola e il dopo barba. Tutto finito, a sinistra la barba lunga è una cosa tra Marx e la questione medio-orientale, si capisce. Ho la barba di un giorno, posso ancora uscire senza sembrare uno dell’Anonima sarda «in continente» e domani è un altro giorno da Via col vento.
Niente notizie, cosa accadrà nel mondo durante il mio potente boicottaggio? La cosa comincia a provocarmi qualche preoccupazione (Bonelli e Fratoianni avranno inviato una lista? Ci saranno istruzioni per l’uso dei rasoi e del dopobarba? Come fare con le comunicazioni offline?), ci sono, ecco l’escamotage per stare sul pezzo, accendo il tv, è LG Electronics, fabbricazione coreana, microchip proprietario, qui non c’è trucco e non c’è inganno... si parte, sono online, ma lampeggia un sospetto sullo schermo, «webOs»... non è che anche questo... sì, sono fottuto, il Partito del Boicottaggio non accetterebbe mai la deroga del passaggio di proprietà ai coreani, perché il software di «webOs» fu sviluppato in origine da Palm e lanciato nel 2009 come sistema operativo per smartphone.
Palm non c’è più, ma il colpo d’ingegno fu americano, chi glielo spiega ai compagni? Collegarsi è un azzardo, il Grande Fratello Democratico potrebbe scoprirlo e butterei la mia occasione di redenzione. Non mi perdo d’animo, vado sotto la doccia (non posso usare lo shampoo, è distribuito da Procter & Gamble, Cincinnati, Ohio) e penso a nuove soluzioni di detergenza e detterrenza anti-trumpiana. Sono le 9, suona il citofono: «È il corriere di Amazon». Ossignore, ancora Bezos, è un’ossessione, «non lo ritiro! rimandi tutto indietro!». Cosa c’era in quel pacco? L’ultimo libro di Mark R. Levin sulla filosofia del potere («On Power») e un paio di opere di Shakespeare nell’edizione Pelican di Penguin Random House. Vie di fuga zero, piattaforma americana, editori americani, un complotto! Devo chiamare il taxi, alzo il telefono (ormai un oggetto di modernariato), «resti in attesa», «prema il tasto...», «confermi dopo il segnale...», sembra Super Quark e io mi sento un marziano che scopre una civiltà arretrata. Ci rinuncio, andrò a prendere il taxi al parcheggio più tardi, ho ancora tempo prima di entrare in riunione a Libero.
NO ALLA METFORMINA
Santo cielo, stavo dimenticando i miei farmaci, ecco due pasticche per la pressione e la prima di tre dosi di metformina 1000 per tenere a bada il diabete 2 (che volete farci, sono gli acciacchi dell’età e di una vita da cronista, qui cigola tutto). Sento una voce che erutta dalla mia coscienza di nuovo democratico pronto a una vita politicamente corretta: Alt! Metformina? Come osi prendere una medicina israeliana? Il boicottaggio contro Netanyahu te lo sei dimenticato? Sprofondo nella vergogna, come ho potuto scordare la causa dei palestinesi e pretendere di curare il mio corpo? Rinuncerò alla metformina dei nazisti israeliani, affronterò il male per «la Palestina libera dal fiume al mare» e soprattutto per avere un domani il perdono e un autografo di Francesca Albanese. Sto per abbandonarmi ai più cupi presagi, mi gira la testa, scruto il bourbon come un antico fratello a cui ho detto addio, improvvisamente, vengo catturato da un post-it (3M, azienda americana, un altro tassello del mosaico cospirazionista) attaccato sullo sportello del frigo: «Ricordati di prendere la metformina o starai male e alla tua morte il premio assicurativo sarà una miseria».
IL SUSSULTO TRUMPIANO
È la rivelazione, l’epifania della mia crisi biografica, un bagliore atomico. È di fronte al povero incasso dell’assicurazione in caso di morte che ho un vitalissimo sussulto trumpiano e filo -israeliano, una scossa capitalista con l’Iron Dome acceso: prendo un bicchiere d’acqua e la mia dose quotidiana di Israele con la prima pastiglia di metformina 1000, mi metto in tasca la seconda dose per il pranzo (sogno la bistecca da Morton’s), accendo l’iPhone (San Steve Jobs), leggo i messaggi Whatsapp (Zuckerberg che sei nei cieli), richiamo dall’app di Amazon (Bezos sia lodato) i miei amati libri Made in America, sulla tv noleggio Shutter Island per passare la mia notte d’insonnia creativa (regia di Martin Scorsese, libro di Dennis Lehane), chiamo il taxi con l’app che gira su software iOS progettato nella Silicon Valley e mi metto gioiosamente in viaggio verso Libero. Mentre attraverso una Milano che m’appare svettante come Manhattan, squilla il telefono, è il mio amico di una vita, ha un problema geopolitico da risolvere: «Ma è vero che vogliono boicottare il Viagra?».