È il grande mistero di Elly Schlein: lei ride sempre. Ma più ride, e meno si capisce cos’abbia davvero da ridere, politicamente parlando. Procediamo con ordine. In Campania, tra lei e il governatore uscente, il braccio di ferro l’ha vinto in modo spettacolare De Luca pater: forse non otterrà la segreteria regionale del partito per il figlio, ma il vecchio don Vincenzo sarà ancora il reuccio della situazione. In caso di vittoria del sinistra-centro, sarà presidente del futuro Consiglio regionale, nonché contraltare istituzionale di Roberto Fico, e dotato di un pacchetto di assessori di peso.
In Toscana, ancora peggio. Pure qui Elly voleva liberarsi di un residuo della vecchia stagione, l’uscente Eugenio Giani, per issare alla carica di governatore un fedelissimo schleiniano (ad esempio, il Furfaro della situazione). Risultato? Giani resta, Furfaro e gli altri schleiniani risultano dispersi, e Schlein incassa una seconda lezione di manovra politica.
Quanto al match nazionale con Conte, il Pd si sta sottoponendo a una procedura umiliante, una specie di schiaffo del soldato: non c’è tema su cui i grillini non si siano trasformati in titolari di un potere di vita e di morte. Sia sul sì o sul no alla costruzione dell’alleanza, sia sulle condizioni della medesima.
Venendo a un minimo di indirizzo politico, c’è da mettersi le mani nei capelli, al punto che, in un eventuale dibattito con un avversario a caso, non cnon fossero i servizi che lui dovrebbe fornire. E poi c’è Antonio Decaro, già sindaco di Bari e oggi eurodeputato: che vive l’opportunità della candidatura regionale in Puglia come il primo passo di una scalata nazionale. E infine ecco la new entry, Silvia Salis, appena eletta ’è piddino che possa fare altro che arrampicarsi sugli specchi. Come lo spieghi il giustizialismo verso Giovanni Toti e il garantismo verso Matteo Ricci e Beppe Sala? Un mistero. E complessivamente, anche nelle settimane in cui il governo appare meno brillante e in cui il motore dell’esecutivo non dà l’impressione di girare al massimo, resta la sensazione - che conta davvero agli occhi degli elettori - di una Giorgia Meloni come persona adulta nella stanza, mentre i ragazzini dell’opposizione strillano. Bonelli sta in qualche procura a presentare denunce a caso, Fratoianni sparacchia su Gaza, Conte detta la linea su tutto, e la povera Schlein si segnala per la sua meravigliosa evanescenza. In queste condizioni, pur ammucchiando tutto l’ammucchiabile, è dura dare l’idea di un’alternativa spendibile.
Pd, ultima spiaggia: Ricci cerca voti in barca (e fa piangere i bambini)
Dopo la bufera giudiziaria, la tempesta meteorologica. La campagna elettorale dell’aspirante governatore delle Mar...Come oggi vi racconta Libero, questo ragionamento l’hanno anche fatto dentro il Pd e nei dintorni del partito. E ci sono almeno cinque personaggi- quattro volponi e una new entry- pronti a sfruttare l’occasione di marginalizzare Elly e proporsi come federatori della coalizione. Elly resterebbe ovviamente segretaria del partito, ma rinchiusa in una specie di frigidaire. Conte otterrebbe il successo morale di non vedere l’alleanza guidata dal segretario del Pd. E molti altri (i centristi sparsi e spersi), da Ruffini a Onorato, potrebbero raccontare a se stessi di essersi uniti - prodianamente - ad uno schieramento non a trazione Pd.
Ecco dunque i cinque principali aspiranti. C’è Paolo Gentiloni, che porta in dote il rapporto con l’Eliseo e la storica fiducia del Colle. C’è il sindaco di Napoli Paolo Manfredi: la città è allo sbando, ma lui è gradito a tutti nella coalizione. C’è, letteralmente scalpitante, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, a cui una bolla mediatica totalmente sganciata dalla realtà sta perdonando tutto: il tiktoker del Campidoglio sforna video in cui racconta una Roma che non esiste (cioè una Roma che funziona), mentre, appena fuori il cerchio del centro storico, la capitale resta un autentico inferno. Lui, Gualtieri, si concede pure il lusso di offendere («Le periferie di Roma fanno schifo»), come se a fare schifo sindaco di Genova: l’esordio è stato da incubo per i contribuenti (una sventagliata di aumenti di tasse), ma la Salis può rivendicare uno schema elettoralmente vincente (tutti dentro con una guida “civica”).
La realtà è che nessuno vede Schlein come sfidante della Meloni, e meno che mai come futuro eventuale primo ministro. Nessuno tranne la cerchia schleiniana di stretta osservanza. È lì dentro che occorrerà sorteggiare il malcapitato che, al momento opportuno, dovrà comunicarle la ferale notizia: «Elly, scansati».