Se non parlassimo di cose maledettamente serie, ci si potrebbe perfino divertire. Anzi, dovremmo quasi ringraziare i valorosi compagni dell’opposizione per l’intrattenimento leggero che ogni singolo giorno non mancano di offrirci. Eh sì, perché ormai la sinistra è prigioniera di un format comicissimo, direi di un preciso quanto irresistibile protocollo, che prevede solo quattro schemi possibili. Beninteso: è pur sempre ammesso il cocktail, cioè una combinazione, un mix a dosaggi variabili di due o tre di quegli ingredienti.
Poi solo alcuni virtuosi (penso all’insuperabile Angelo Bonelli) sono in grado di realizzare un trionfale en plein, una specie di poker, giocando simultaneamente tutte e quattro le carte. La prima di queste carte - starei per dire: il minimo sindacale - è la crisi isterica. Per principio, qualunque attività di Meloni o Salvini, per citare i bersagli principali della sinistra, non può essere criticata su un piano razionale e fattuale.
Troppo poco, non basta: bisogna sbroccare, stracciarsi le vesti, strapparsi i capelli, sostenere che la democrazia è in pericolo, i diritti umani calpestati e la dittatura dietro l’angolo. Riforma della giustizia? “È il piano della P2”, scatta come una molla un piddino medio o un grillino a caso: peccato che la separazione delle carriere ci sia pure in Usa, Uk, Francia, Germania, Austria, Canada, e così via (evidentemente Licio Gelli aveva le mani in mezzo mondo...). Presidenzialismo? “È la torsione autoritaria”. Decreto sicurezza? “È il fascismo”. E così via a piacere, perché il generatore automatico dello sdegno progressista è attivo senza ferie e senza soluzione di continuità.
La seconda opzione è quella della rosicata. Se per caso (in Italia o nel mondo) accade o può accadere qualcosa di promettente, bisogna subito fare la faccia ingrugnata e prospettare il peggio. Prendi l’ipotesi di un incontro Trump-Putin o addirittura, dopo quel meeting a due, di un possibile vertice a tre anche con Zelensky. Qualunque persona minimamente ragionevole può solo augurarsi uno sviluppo del genere, dal quale (speriamo) potrebbe venire qualche novità confortante. E invece no, da sinistra bisogna stare a muso lungo e spiegare che Trump resta comunque una canaglia. Voi domanderete: ma per i compagni non era già una canaglia - a settimane alterne- sia quando appariva troppo molle sia quando appariva troppo duro verso Putin? È così: una canaglia a prescindere, pure se stavolta lo incontra.
Il terzo schema di gioco è quello della gufata. Qui si raggiungono vette addirittura inimmaginabili perla mente di un individuo normale. Prendi l’approvazione del progetto per il Ponte sullo Stretto, un rotondo successo di Salvini e del Governo. Per carità: è legittimo essere contrari. Ma è proprio necessario sostenere che “il ponte non regge” (ieri abbiamo letto questo titolo sulla prima del Fatto) o che “se arriva un sisma resterà in piedi solo il ponte” (come abbiamo letto in un’intervista sulla Stampa)? Tra l’altro i gufi potrebbero almeno mettersi d’accordo sul tipo di sciagura da prevedere: viene giù il ponte o viene giù tutto meno il ponte? Almeno si coordinino tra loro.
Quando le prime tre opzioni sono state infine consumate, resta solo la quarta, un grande jolly che si può calare sul tavolo da gioco in modo risolutivo: un rapido passaggio in Procura per depositare una denuncia. Qui, come accennavo, c’è un primatista assoluto della specialità, l’irraggiungibile Bonelli. Alla mattina, quando gli altri stanno ancora al primo sonno, lui ha già depositato un esposto. E a sera, quando gli altri sorseggiano un aperitivo, lui stadi nuovo negli uffici di un’altra Procura. Un fantasista delle manette, un virtuoso del giustizialismo, un fenomeno in grado (bilocazione?) di manovrare la ghigliottina e contemporaneamente di fare da tricoteuse che assiste in prima fila. Sulla scia di uno spunto buttato lì da Francesca Albanese, in questi giorni Bonelli ha battuto tutti i record, immaginando di segnalare il governo italiano alla Corte penale internazionale con l’accusa nientemeno che di complicità in genocidio.
Immaginatevi, in un ufficio giudiziario, oppure in un posto di polizia, in una stazione dei carabinieri, il povero malcapitato chiamato a raccogliere l’esposto del leader verde: “Onore’, che famo oggi?”. E lui imperturbabile: “Oggi genocidio”. Come dicono i più giovani verso i loro campioni: letteralmente ingiocabile. E dal giardino d’infanzia della sinistra per oggi è tutto.