Usiamo la parola giusta per le "critiche" a ebrei e israeliani: antisemitismo

In nome della sensibilizzazione di Gaza assistiamo auna "nuova normalità", inquietante e pericolosa
mercoledì 27 agosto 2025
Usiamo la parola giusta per le "critiche" a ebrei e israeliani: antisemitismo

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Ricapitoliamo. In nome della sensibilizzazione per Gaza e sempre evocando con voce tremante e occhi umidi i diritti umani e altri valori di importanza suprema, abbiamo assistito come una sorta di “nuova normalità” al vero e proprio respingimento di semplici turisti israeliani da parte di bar e ristoranti, poi alla richiesta politica di esclusione di atleti e rappresentanti israeliani dalle competizioni sportive, e infine a Venezia - alla richiesta di estromissione dal Festival di un’attrice e un attore “colpevoli” - lei, Gal Gadot - di essere israeliana, ebrea, e impegnata nella campagna a favore del rilascio degli ostaggi tuttora prigionieri di Hamas e - lui, Gerard Butler- di aver raccolto fondi diversi anni fa per la difesa di Israele dal terrorismo.

Così, nella nostra Italia (e in un gran silenzio istituzionale), politici, giornalisti, intellettuali, sportivi, persone comuni hanno- più o meno consapevolmente - confuso dei cittadini con il (peraltro legittimo) governo in carica a Gerusalemme.

Oppure hanno presunto che, per il solo fatto di essere israeliani e/o ebrei, si debba necessariamente rispondere delle azioni politiche dell’esecutivo Netanyahu, condivisibili o meno che esse siano. Oppure che, per essere considerati parte del consesso civile, cittadini israeliani e persone di religione ebraica debbano svolgere una sorta di “abiura”, quindi di presa di distanza preventiva dal governo guidato dal leader del Likud. Oppure - è il caso di Butler - che, per finire in una lista di proscrizione, basti l’aver agito in un certo modo (alcuni anni fa) o il non essersi espresso secondo il pensiero unico (adesso).

Ora, la si può girare come si vuole, si può indorare la pillola a proprio comodo e piacimento, si può accompagnare il tutto con lacrime più o meno sincere: ma se si mettono nel mirino delle persone per il mero fatto di essere israeliane e/o ebree, si sta compiendo un atto di antisemitismo. Peggio: si uniscono in modo velenoso la propensione storica della sinistra a stilare elenchi di reprobi (o- sul modello dell’appello contro il commissario Luigi Calabresi - a predisporre lapidazioni morali con il concorso corale di intellettuali e artisti) e un’ostilità anti-israeliana che, scatenandosi contro singole persone, diventa ipso facto un atto di antisemitismo.

Si potrà invocare la buona fede (in molti casi non ne dubito), la scarsa consapevolezza storica (idem), un cedimento da deboli al conformismo (mi pare pacifico), e ogni sorta di ulteriore giustificazione, attenuante, contestualizzazione. Ma occorre comunque chiamare le cose con il loro nome: e la parola appropriata, quando si colpisce una persona per il suo essere israeliana e/o ebrea, è antisemitismo. A maggior ragione se chi si comporta così fatica a esprimere un giudizio netto sui terroristi di Hamas. Stiamo assistendo a una pagina di incancellabile infamia. Si può legittimamente sostenere ogni opinione sul governo Netanyahu, su quanto accade a Gaza, sul complesso quadro in Medio Oriente. Ma resta il fatto che - dietro le cortine fumogene - ci sia una realtà inconfessabile: si stanno dicendo e facendo contro gli ebrei cose che in altri tempi ci si sarebbe vergognati anche solo a pensare. È scomodo dirlo? Perderemo qualche like sui social? Incasseremo qualche altra minaccia? Può darsi. Ma - tra qualche anno - almeno di questo, dalle nostre parti, non avremo motivo di vergognarci.