Non ha solo fatto bene: ha fatto benissimo Matteo Salvini a sconvolgere l’impianto e la scaletta di oggi a Pontida per centrare il suo messaggio sulla libertà di parola sotto attacco dopo il brutale assassinio di Charlie Kirk. Quella tragedia non è stata affatto un “incidente”, un evento impensabile e imprevedibile, mala logica conseguenza di una campagna di demonizzazione sistematica, personalizzata, ossessiva.
La differenza con l’Italia? Sta solo nel fatto che dalle nostre parti circolano meno armi, e quindi – per fortuna – le chances di beccarsi una fucilata sono più scarse. Ma tutto il resto di un meccanismo purtroppo oliatissimo c’è anche da noi, e funziona a pieno ritmo. C’è una macchina mediatica progressista che individua i bersagli, li espone, li disumanizza. Poi c’è qualcuno che colpisce, che provvede materialmente a “eseguire”: la statuetta in faccia contro Berlusconi, o la pioggerellina di aggressioni (universitarie e non) nei confronti di voci “sgradite”. Poi c’è la folla che applaude: e sono tifosi di sinistra, c’è poco da fare. E infine, a richiudere il cerchio, c’è di nuovo il circolino intellettuale dem che dà le pagelle ai morti, distingue tra i defunti “buoni” e i defunti che invece “se la sono cercata”.
Per carità, nessuno lo nega: anche a destra ci sono rozzezze e volgarità. Ma non c’è questa “catena di montaggio” dell’odio. La quale – si badi bene – non è frutto di chissà quale regia a sinistra: si tratta di movimenti spontanei, frutto di una sincronia assolutamente naturale. Il che, spiace per i compagni, non è affatto un’attenuante, ma dovrebbe farci (e farli) riflettere sul tipo di semina culturale alla quale si stanno dedicando.
È come se, sentendosi minoritari, avendo smarrito il “tocco”, avendo perduto il rapporto in particolare con i ceti popolari su materie decisive come la sicurezza e l’immigrazione, si fossero messi in cerca di surrogati pericolosi: molto spesso rintracciati nella sistematica fascistizzazione del nemico politico. Come ritrovo la mia identità perduta? Reinventandomi nella veste di partigiano contro il “nuovo fascismo”.
Prevengo un’obiezione abbastanza prevedibile. Diranno i compagni: ma come fa la Lega, con la sua “bestia” social, con la sua comunicazione storicamente aggressiva, con i suoi slogan taglienti, a farsi paladina di questi temi? Ma il punto sta proprio qui, almeno nella mia ottica di osservatore liberale e libertario: non si tratta mica di annacquare le polemiche, di inseguire un vago “moderatismo”, di abbracciare un ipocrita buonismo.
Al contrario: il “polemos”, la dimensione della battaglia delle idee, sono il sale di una democrazia, così come gli scontri dialettici al calor bianco. Un grande italiano come Marco Pannella amava ripetere (e per lui, ne sono buon testimone, non si trattava di una formula retorica) che i grandi scontri possono avere un valore unificante, nel senso che i protagonisti di una grande battaglia – pur da posizioni opposte – possono ritrovarsi “uniti” da un tema, da un’urgenza, ed essere – gli uni e gli altri – lontanissimi da indifferenti e ignavi.
E allora ecco perché proprio uno schieramento (il centrodestra) e un partito (la Lega) che non hanno avuto paura di polemiche roventi hanno tutto il diritto di porre la questione, e di segnalare ad amici e avversari che un conto è scontrarsi duramente sulle idee, altro conto è aggredire personalmente un avversario.
A ben vedere, negli ultimi anni, è proprio l’uomo non di sinistra il bersaglio “perfetto”: fascistizzato e disumanizzato a prescindere, presentato sistematicamente come un pericolo perla democrazia e la convivenza civile, e via delirando. Anatema che viene indiscriminatamente esteso verso gli elettori di destra: degradati a “orda fascista”, a “onda nera”, in contrapposizione – si capisce – al popolo democratico, sempre disegnato a colori pastello (“yes we can”, “la storia siamo noi”).
Siamo dunque arrivati al cuore della questione. Abbiamo bisogno di mettere un freno alle campagne di demonizzazione personale e – al tempo stesso – di non circoscrivere il free speech. Gli stessi repubblicani trumpiani corrono un rischio in questi mesi: avendo giustamente contrastato la sciagura woke, rischiano adesso di reagire con una sorta di “contro-woke”, di risposta uguale e contraria. Si tratta di un errore da evitare.
Per paradosso, proprio la destra italiana (vale per Fratelli d’Italia tanto quanto per la Lega, così come per gli eredi del berlusconismo), da sempre oggetto di risatine e aggressioni, è lo schieramento politico che offre maggiori garanzie, quando è al governo, ai suoi avversari che pro tempore stanno all’opposizione. Una destra che da sempre subisce censure e bavagli tendenzialmente non userà contro gli altri queste armi sbagliate e in ultima analisi controproducenti. Ne sono ragionevolmente convinto.