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Maurizio Landini, la rivolta sociale non piace manco agli operai

di Sandro Iacomettidomenica 5 ottobre 2025
Maurizio Landini, la rivolta sociale non piace manco agli operai

(LaPresse)

3' di lettura

Tutelare il ceto medio, defiscalizzare le tredicesime, anche dei pensionati, defiscalizzare i risultati della contrattazione di secondo livello per spingere la produttività. Fortunatamente nel sindacato c’è ancora qualcuno che prova a fare il suo mestiere. E ieri, mentre si continuano a fare i conti dei danni economici (c’è chi ha parlato di un miliardo) provocati al Paese dalla protesta organizzata dalla Cgil (non autorizzata dal garante) e dalle sigle di base, la leader della Cisl, Daniela Fumarola, intervenendo alla Leopolda di Firenze, ha tentato di riportare l’attenzione sulle esigenze (reali) dei lavoratori. I quali, piaccia o no a Maurizio Landini e alle sue nobili preoccupazioni per la Palestina (un po’ ingigantite dalla paura di lasciare le piazze ai colleghi dell’Usb), hanno sempre il problema di pagare le rate del mutuo, di fare il pieno all’auto, di saldare le bollette e arrivare in qualche modo alla fine del mese.

Problemi che dovrebbero essere al centro del dibattito mentre il governo sta mettendo a punto la prossima legge di bilancio e mentre alcuni settori produttivi, a partire dalla manifattura, non riescono da decine di mesi a tirare su la testa. «Fare uno sciopero e quindi chiedere sacrifici ai lavoratori e le imprese lo abbiamo considerato sbagliato», ha detto senza mezzi termini la Fumarola, anche perché «lavoratori e imprese con la guerra in Medio Oriente non c'entrano assolutamente nulla». E se la motivazione di Landini, come molti pensano, più che umanitaria è politica, il giudizio non cambia. «Abbiamo scelto di non incendiare le piazze e di ricercare il confronto, perché così si ottengono risultati più concreti», ha spiegato la leader della Cisl. Che agli slogan barricaderi dei colleghi preferisce i numeri: «Anche l'anno scorso avevamo una manovra che non poteva essere eccessivamente espansiva, ma abbiamo portato a casa due terzi su 30 miliardi e di questi 18 soltanto sul cuneo».

Riflessioni banali e scontate del solito sindacato “filo governativo»? Ognuno può pensarla come vuole. Però sembra che ai lavoratori interessi più questo che le piazzate contro Israele. Che lo sciopero sia stato un flop nel servizio pubblico è certificato dai dati ufficiali del ministero della Pa, che ha registrato un tasso di adesione generale inferiore all’8%. Quello che non si è detto è che la protesta ha riscosso uno scarsissimo successo anche nelle fabbriche, dove evidentemente le priorità dell’agenda sono diverse. Secondo i dati raccolti da Libero nelle aree più produttive del Paese, come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, percentuali a doppia cifra, comunque non oltre picchi del 25%, sono state raggiunte solo nei settori più sindacalizzati e battaglieri come la siderurgia, la meccanica, l’automotive e la logistica. Ma in molti comparti, come l’artigianato e l’edilizia, o in alcuni grandi gruppi come Moncler o Hera, le adesioni allo sciopero proclamato da Landini & Co sono state prossime allo zero.

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Persino nella vigilanza, dove spesso si applicano quei contratti ben sotto i 9 euro l’ora firmati anche dalla Cgil, gli addetti si sono presentati tutti al lavoro. Un po’ per non perdere un giorno di paga, un po’ perché Gaza con il lavoro c’entra effettivamente poco. Ora, sarebbe offensivo dire che in piazza c’erano solo giovani e fannulloni. Epperò i fatti ci raccontano una realtà non molto diversa.