I flottigliani rilasciati da Israele sono sbarcati all'aeroporto di Atene, accolti da cori e sventolio di bandiere palestinesi. Sorridono, abbracciano, baciano, si offrono alle tv come autentiche rockstar. Come Greta Thunberg, che improvvisa anche un comizio a favore di telecamere. Immagini che cozzano coi racconti di privazioni e maltrattamenti che sostengono di aver subito nelle prigioni di Netanyahu; ma soprattutto stridono con quelle passate alla storia delle liberazioni degli ostaggi israeliani, loro sì torturati, violentati, massacrati di botte dalle bestie di Hamas. Loro non sorridevano, si concedevano stremati solo alle famiglie e negli occhi avevano il terrore di chi aveva visto l’inferno sulla terra e l’incredulità di chi accarezzava col timore dell’incredulità la fine dell’incubo.
Basterebbe questo confronto di immagini per smontare la retorica della Flotilla, ma la realtà, giorno dopo giorno, si incarica di farla venire a galla in tutta la sua miseria. Ieri il ministero degli Esteri israeliano ha confermato che «dopo aver controllato tutte le navi e gli yacht della Flotilla, il totale degli “aiuti” che abbiamo trovato ammontava ad appena due tonnellate distribuite in 42 imbarcazioni». Insomma, «non c’è da stupirsi che la Flotilla Hamas-Sumud, che trasportava falsi aiuti, abbia respinto tutte le proposte di Israele, Italia e Grecia di scaricare pacificamente gli aiuti per Gaza in uno dei porti regionali. Flotilla - chiude il ministero degli Esteri israeliano - non era altro che una trovata pubblicitaria». Ovviamente perla Flotilla è una ricostruzione mendace, fatta ad arte da Gerusalemme per screditare la “forza” dell’impresa. Fatto sta che in settimane di navigazione quegli aiuti non li ha mai visti nessuno.
Flotilla sbaglia rotta: Gaza? No, arriva a Gela
Gaza e Gela hanno lo stesso numero di lettere e due di queste sono anche in comune, compresa quella iniziale. Da qui, pe...Ieri, però, è stata la giornata dei rientri: ad Atene ne sono arrivati 161 da 16 Paesi europei. Tra questi anche i 15 italiani, gli ultimi connazionali a lasciare Israele, dove invece rimangono in carcere ancora 138 attivisti, che dovrebbero essere liberati tra oggi e domani. Tra questi c’è anche la nipote di Nelson Mandela, Nkosi Zwelivelile “Mandla” Mandela . Ed è stata anche la giornata di Greta Thunberg, la starlette della spedizione, che dopo aver sbagliato tutte le previsioni sulle catastrofi climatiche («Il mondo finirà il 31 giugno 2023», ma siamo ancora qui, in buona salute), ora tenta la fortuna con i diritti umanitari. A naso con lo stesso esito.
Greta si presenta - così come tutti gli altri - con indosso la tuta bianca della prigione israeliana e parte col comizietto: «Potrei parlare a lungo di come siamo stati maltrattati e abusati durante la nostra detenzione, credetemi, ma non è questo il punto». E ancora: «Voglio essere molto chiara: un genocidio si sta verificando davanti ai nostri occhi, un genocidio in diretta. Nessuno può dire di non essere a conoscenza di ciò che sta accadendo - ha proseguito Thunberg -. Secondo il diritto internazionale, gli Stati hanno l’obbligo legale di agire per prevenire e fermare il genocidio. Ciò significa che devono cessare la partecipazione, esercitare pressioni concrete e fermare i trasferimenti di armi. Non stiamo vedendo nemmeno il minimo indispensabile da parte dei nostri governi». Poi parla di «decenni di oppressione e di apartheid», ovviamente da parte di Israele.
Non una parola sui macellai di Hamas o sulle vittime del 7 ottobre. Tutto da copione. A sinistra son fatti così. In Italia, invece, come al solito la si butta in commedia. Il deputato Pd Arturo Scotto affida il suo racconto a Un Giorno da Pecora su RaiRadioUno e ci rivela che «la prima cosa che ho fatto una volta tornato in Italia è stata andare dai carabinieri e denunciare l’esercito israeliano», ma non per le “torture” subite, macché, «perché mi hanno fregato il cellulare. Ma la cosa che mi fa più rabbia prosegue un indignatissimo Scotto- è che mi hanno fregato pure le sigarette, 8 pacchetti». Pofferbacco! E mica è finita qui, perché dopo vari sballottamenti, finalmente i prigionieri sono riusciti ad incontrare il vice ambasciatore italiano il quale, tra le altre cose «si è speso per farci avere almeno un caffè», ma i soldati israeliani che sono degli autentici birbanti «ce l’hanno rifiutato». Perfidi. Infine il volo di ritorno, col capitano che indica al pubblico ludibrio i quattro parlamentari e «un bambino che per tre ore passava davanti a noi urlandoci che eravamo terroristi ed amici di Greta». Una nemesi per la sinistra, che una volta i bambini li mangiava.
A bordo della Flotilla c’era anche Assyne Lafram, presidente dell’Ucoii che raggruppa le comunità islamiche d’Italia: «Possiamo solo immaginare cosa succede ai prigionieri palestinesi. Quello che abbiamo subito noi è nulla». Al suo fianco c’era il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, che si è fatto prendere dall’entusiasmo spiegando che «le trattative di pace sono merito della mobilitazione, non certo di Trump». Ma il vero psicodramma si è vissuto a Milano dove Pierfrancesco Majorino si è fatto scavalcare a sinistra dal rampantissimo flottigliante Paolo Romano. E “Pierbaffo” non l’ha presa benissimo: «Bene che sia tornato, ma la battaglia continua». Sipario.