Per capire la storia di Ilaria Salis, e quale sia la catena di eventi che l’ha portata nel parlamento europeo, occorre partire dal Giorno dell’onore, celebrato ogni anno a Budapest l’11 febbraio. I media italiani lo presentano come un raduno di neonazisti, ma visto con gli occhi degli ungheresi è qualcosa di molto diverso. Le commemorazioni durano più giorni, partecipano le famiglie, si visitano i luoghi della resistenza all’Armata rossa. Si ricorda la sortita disperata della guarnigione che difendeva il castello di Buda, composta da ungheresi e tedeschi: non potendo arrendersi perché Adolf Hitler l’aveva vietato, decisero di morire lanciando un ultimo assalto.
Crollato il regime, e con le ferite della rivolta del 1956 ancora aperte (per ordine di Mosca furono rastrellati e uccisi migliaia di giovani), fu naturale “recuperare” quell’evento e riconoscerlo come l’ultimo momento di orgoglio nazionale prima di finire sotto il tallone sovietico. Socialisti, liberali: tutti d’accordo, ben prima che Viktor Orbán arrivasse al governo.
Ilaria Salis senza vergogna: "Non dirò mai chi mi ha salvato"
"Avevo il terrore di tornare in Ungheria, non tanto il carcere in sé. Se fossi dovuta tornare laggiù ...È in questa circostanza che Salis e il suo gruppo di militanti di sinistra agiscono a Budapest nel febbraio del 2023. Il Giorno dell’onore è anche l’occasione per una parata di estrema destra, con teste rasate giunte da tutta Europa. Per protestare contro di loro, la sinistra organizza la sua manifestazione antifascista. Entrambi i cortei sono autorizzati, si svolgono in contemporanea su percorsi obbligati. In mezzo, a impedire contatti tra i due gruppi, c’è la polizia: chi devia dal percorso finisce dritto in cella.
Il giorno dei comizi politici è il 9 febbraio, e tutto fila liscio. Gli scontri iniziano il giorno dopo. Le registrazioni delle telecamere mostrano un gruppo di venti persone che compie cinque attacchi. Usano una tecnica da guerriglia urbana, ogni volta agiscono in otto, col volto coperto. Scelgono il bersaglio in base all’aspetto e all’abbigliamento, lo seguono e lo tramortiscono colpendolo da dietro, con un manganello con anima in acciaio, per il quale è richiesto il porto d’armi. Nel minuto successivo infieriscono sulla vittima a terra, le spruzzano spray al peperoncino negli occhi per moltiplicare lo shock. Quindi scappano.
Fanno così il 10 febbraio, con un cittadino ungherese che esce da un ufficio postale. Ripetono il pestaggio l’11 febbraio, ai danni di una coppia di tedeschi, ma la polizia è sulle loro tracce e stavolta li coglie in semi-flagranza. Cinque di loro si rifugiano in una stazione della metropolitana. Per Salis i mezzi pubblici sono una scelta troppo proletaria: viene fermata su un taxi assieme a due “antifa” tedeschi, Tobias Edelhoff e Anna Christina Mehwald. Il tassista inchioda quando vede che la polizia li sta inseguendo: addosso a Salis gli agenti trovano un manganello telescopico con anima in acciaio.
«Per autodifesa», sarà la sua versione. Le immagini mostreranno che tra gli autori delle due aggressioni c’è una persona vestita come lei e con i suoi parametri fisici. Per gli accusati si configurano due aggravanti: avrebbero inflitto lesioni «potenzialmente letali» e agito mossi dall’odio per i membri di una comunità: è una norma introdotta per tutelare le minoranze a rischio di violenza, si applica anche in questi casi.
Ilaria Salis, clamoroso: "Orban punito", ecco chi l'ha salvata
Un solo voto è bastato per garantire l'impunità a Ilaria Salis. L'eurodeputata di Avs è sta...Arrestata, Salis si rifiuta di riconoscere la legittimità dei magistrati che la interrogano e sostiene di non essere la picchiatrice che appare in quei video. Per lei c’è la detenzione preventiva, il giudice la mette in isolamento perché vuole che non inquini le prove e che parli solo con i suoi avvocati.
Da subito, riceve visite regolari dall’ambasciata italiana. Viene tolta dall’isolamento appena le indagini finiscono. Accusa gli ungheresi di trattarla in modo vergognoso, loro rispondono con i fatti. Negli ultimi mesi le danno anche la possibilità di usare un cellulare durante la detenzione: 70 minuti di telefonate a settimana per la famiglia e tempo illimitato per parlare con i suoi legali e l’ambasciata. A metà maggio, prima ancora di essere eletta al parlamento europeo, le sono concessi i domiciliari.
Il suo trionfo mediatico lo aveva ottenuto il 29 gennaio, giorno della prima udienza pubblica in tribunale. Viene fotografata in manette e coi ceppi alle caviglie. In Ungheria è la procedura normale: serve a evitare che le vittime di atti di violenza si sentano intimidite al cospetto dei loro aggressori. Salis e i suoi avvocati lo sanno, ma l’occasione per fare lo show non se la lasciano sfuggire. «È così per tutti. Cosa penserebbero i nostri connazionali se facessimo eccezioni per un’italiana?», replicano Orbán e i suoi alle autorità italiane che chiedono spiegazioni.
Non c’è stata alcuna udienza per il secondo pestaggio, l’iter giudiziario è stato fermato dall’elezione di Salis al parlamento europeo. Da Budapest assicurano che anche in caso di condanna la quarantunenne milanese non sarebbe tornata in carcere: l’avrebbero espulsa, rimandandola in Italia. Ma a lei e ai suoi sponsor politici è andata benissimo così. La costruzione del suo personaggio, con i comitati e le pressioni per liberarla, è riuscita alla perfezione. Il sigillo finale lo hanno messo gli ignoti europarlamentari di destra che l’hanno sottratta ai tribunali ungheresi.