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Azzurri rassegnati: "Spariremo"

Reportage a Montecitorio di Franco Bechis: tra i deputati azzurri c'è chi parla di diaspora e chi attacca duramente Berlusconi e gli preferisce Bossi

Lucia Esposito
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La buvette di Montecitorio è quasi deserta. E non è per i prezzi aumentati. Manca ancora qualche ora all'arrivo di Mario Monti in aula, e da qualche tempo i deputati dell'uno e dell'altro fronte se possono restano a palazzo il meno possibile. Quasi che poltrone, uffici, divani da Transatlantico, fossero improvvisamente venuti a noia a troppi. E un po' fanno tristezza. Come quel deputato - di primo piano - del Pdl che a mezzogiorno fa una sorta di colazione tardiva e raminga. Lo vedi che bagna tutto solo il cornetto in una tazza di caffè macchiato e nemmeno si accorge del cronista che gli arriva alle spalle. Poi alza gli occhi e quasi si scusa: «No, non mi sono svegliato tardi. Questo da sempre è il mio pranzo. Tiro così fino a sera con gli zuccheri necessari». Non cito il suo nome - come non farò con gli altri - perché questo è il patto a cui mi costringono per dire qualcosa di più vicino alla verità. Altrimenti tutti in silenzio. Ha letto Libero e le considerazioni sul Pdl che sta spegnendosi come una candela nel tunnel Monti in cui il partito è stato costretto ad infilarsi. «Sì, è così. Se non  facciamo qualcosa entro giugno, rischiamo davvero di sparire. L'unica è fare passare questo provvedimento sulle liberalizzazioni, non  illuderci sul lavoro perché tanto non passerà mai e staccare la spina. Mica per vincere le elezioni! Solo per tornare alla normalità e ritrovare gli elettori che altrimenti fuggiranno come gli eletti… Altrimenti rischiamo davvero la diaspora. C'è chi si è fatto ipnotizzare da Monti e pensa che il rifugio più sicuro sia quello di Pier Ferdinando Casini. E chi invece capisce e vede tutto immobile ed è disposto a fare gruppi suoi…». Il quadro finale dipinto dall'autorevole dirigente del Pdl è proprio quello. E si trova nelle parole e nei pensieri in libertà di molti suoi colleghi che incontro. Ecco una deputata del centrodestra che è stata anche al governo. Racconta di avere provato ad astenersi su una mozione presentata dalla Lega, e di avere ricevuto uno shampoo dai vertici del suo gruppo, perché in questo momento anche questo piccolo dissenso non è permesso: «Ma io non posso resistere ancora a lungo su questa strada. Stiamo prendendo a mazzolate i nostri elettori. E su  molte cose la Lega ha ragione da vendere: fino a un minuto fa erano nostri alleati e ora dovremmo prenderli a calci schiacciandoci su Monti?».  Il maldipancia c'è. Ecco un altro deputato di lungo corso, del Nord, anche lui faceva parte del governo precedente. Seduto sul divano di Montecitorio con alcuni colleghi della stessa regione, allarga le braccia: «Non serve che ti dica cosa penso, perché non conta nulla. E non capisco il nervosismo dei miei colleghi. Il nostro è un partito proprietario. Conta solo cosa pensa Lui. E cosa pensi si capisce: per qualche settimana è restato comprensibilmente sotto choc. Poi il presidente Silvio Berlusconi si è ripreso anche fisicamente. Ma non ha alcuna intenzione di cambiare linea. Seguiremo Monti fino alla fine. E furbetti quelli hanno il fatto il gioco del beauty contest che ci paralizza: prendono tempo sulle frequenze, riflettono un po' di mesi, poi i mesi raddoppieranno non decidendo nulla e noi resteremo attaccati al carro». Il collega che siede a fianco aggiunge: «Sì, siamo un partito proprietario. Come tutti. Antonio Di Pietro è proprietario del suo partito. Nichi Vendola è proprietario del suo. E così Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini. Lo è anche la Lega, che sta affrontando il tema di un passaggio di proprietà. Va a finire che l'unico partito a struttura liberaldemocratica è il Pd…». «No», lo corregge il terzo pidiellino sul divano, «anche il Pd ha un proprietario: Giorgio Napolitano. E la riunione di condominio ha deciso che Monti è e Monti dobbiamo tenerci fino alla fine». Altro pidiellino di lungo corso in corridoio sente e assente. Lui è passato più volte da un partito all'altro. E da un po' sta nel Pdl: «Da Monti molti di noi vorrebbero liberarci. Ma Berlusconi non vuole e chi dirige il partito non indica altro che la volontà del Capo. Certo almeno facessimo dei congressi veri, potremmo cercare di esistere…». Beh, i congressi si stanno facendo… «No, quelli regionali no. Solo provinciali. Ma sai a che servono! Sono quelli regionali che poi incidono sulla compilazione delle liste alle politiche e sul gruppo dirigente del partito». Nel cortile di Montecitorio c'è il solito deputato ribelle insofferente alla linea: «Io tra un mese al massimo la spina la stacco, e alla peggio me ne vado. Tanto a restare faremmo comunque la fine dei topi, ed è meglio andarsene con un po' di dignità. Se te la riconoscono in politica prima o poi ci torni». Ma è difficile che gente così possa trascinare le truppe. I più sono rassegnati al lentissimo e letale giro di valzer con Mario Monti. di Franco Bechis

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