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Camusso: perché ci opponiamo alla riforma

la Leader Cgil: oggi la precarietà dei giovani è il primo problema, ma abbiamo troppi dubbi sulla riforma tracciata dal governo

Lucia Esposito
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La Cgil oggi, come Lama ieri, mette al centro occupazione e lavoro ma mentre allora i salari crescevano, anche se molto erosi dall'inflazione, oggi siamo alla perdita sistematica del loro potere d'acquisto e cio' rappresenta una ragione importante della recessione in atto". In una lettera a 'la Repubblica', Camusso, risponde a un editoriale di Eugenio Scalfari sulla trasformazione delle politiche del lavoro e delle strategie del sindacato a partire da una lunga intervista a Luciano Lama nel 1978, quando era segretario generale della Cgil.  "La diseguaglianza e' dettata dallo spostamento progressivo dei profitti oltre che al reddito di capitalisti, a speculazione (o si preferisce investimento) finanziaria. Cosi' si riducono oltre che la distribuzione, anche gli investimenti in innovazione, ricerca, formazione e in prodotti a maggior valore e piu' qualificati. Senza investimenti si e' scelto di produrre precarieta', traducendo l'idea di flessibilita' invece che nella ricerca di maggior qualita' del lavoro, di accrescimento professionale dei lavoratori, in quella precarieta' che ha trasferito su lavoratori e lavoratrici le conseguenze alla via piu' bassa dello sviluppo".  E l'analisi va avanti, cosi' come le divergenze con gli anni di Lama fino al al problema della produttivita' che "decresce", non per colpa "dell'articolo 18" ma "al contrario, al crescere della precarieta', che non ha neanche incrementato l'occupazione, producendo invece quel lavoro povero su cui sarebbe bene interrogarsi". Al tavolo col governo, ricorda Camusso, "ci siamo trovati di fronte a un documento del ministro non condiviso da nessuno. Senza nostalgie di nessun tipo pensiamo sia utile proporre un negoziato vero e non affidarsi a ricette preconfezionate il cui fallimento e' nei numeri della precarieta' e della disoccupazione". E aggiunge: "Siamo i primi ad apprezzare che l'Italia sia tornata al tavolo dei grandi a sostenere sforzi per far ripartire il Paese, ma se ogni scelta presenta il conto solo al lavoro abbiamo il legittimo dubbio, anzi, la certezza, che si affronta il 'nuovo' con uno strumento antico e che il fine non sia far ripartire il paese ma 'salvare il soldato Ryan'. Se sara' cosi' non si salvera' l'Italia ma una sua piccola parte, che forse non ha bisogno di salvarsi, perche' lo fa gia' tra evasione, sommerso e lobbismo di ogni specie".

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