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Cup: "Ordini professionali uniscano forze, equo compenso non può più aspettare"

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Roma, 5 ott. (Labitalia) - "Quella per l'equo compenso ai professionisti è una battaglia di civiltà giuridica, in generale, e per i giovani, in particolare, affinché il loro lavoro non continui ad essere mortificato da quei committenti che sempre più spesso chiedono prestazioni consulenziali a titolo gratuito”. Così Marina Calderone, presidente del Comitato unitario delle professioni, commenta l'ultima sentenza del Consiglio di Stato (n. 4614/2017) che legittima gli enti pubblici - nel caso di specie il Comune di Catanzaro - a promuovere bandi senza compenso per il professionista e con la sola previsione del rimborso spese. Smentendo di fatto il Tar della Calabria che, in prima istanza, aveva dato ragione agli ordini ricorrenti. "È necessario -continua Marina Calderone- che tutte le professioni uniscano le forze su questa battaglia di legalità e operino congiuntamente affinché la legge sull'equo compenso venga approvata presto ed entri a far parte dell'ordinamento giuridico italiano entro la fine della legislatura. Così da dotare un comparto economico come quello dei liberi professionisti, composto da 2,5 milioni di iscritti, di un punto di riferimento normativo di quantificazione della prestazione a fronte di un'assenza di regole. Continuare a restare in questa situazione vuol dire, infatti, scegliere di non dare un futuro ai nostri giovani". Secondo Calderone, "quella dei giudici di Palazzo Spada è un'interpretazione troppo ampia e non condivisibile del 'contratto a titolo oneroso'". "Non può essere accettata la tesi dell'ammissibilità di un bando che preveda offerte gratuite (salvo il rimborso spese), ogniqualvolta dall'effettuazione della prestazione contrattuale il contraente possa trarne un'utilità economica lecita e autonoma", avverte. "Intanto perché, vista l'indubbia convenienza, così si legittima -spiega ancora Calderone- qualsiasi pubblica amministrazione a non fare più bandi onerosi e a creare di conseguenza una sorta di cartello in base al quale chiunque voglia lavorare con la P.a. dovrà farlo in maniera gratuita". "E poi perché - prosegue - una tale interpretazione estensiva, è una palese violazione dell'art. 36 della Costituzione ove si afferma che ‘il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa'". "In un dibattito parlamentare in cui si sta discutendo su come tutelare la giusta remunerazione dei lavoratori -conclude la presidente del Cup- la sentenza del Consiglio di Stato riporta al centro del dibattito anche la necessità di regolamentare in maniera chiara i compensi per le prestazioni rese dai professionisti a tutti i committenti".

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