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La magia della Tosca di Puccini sotto alle stelle di Caracalla

In uno scenario suggestivo, a Roma, l'opera diretta da Pier Luigi Pizzi: una reinterpretazione anni '30

Andrea Tempestini
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La magia di Tosca sotto le stelle di Caracalla. In uno scenario suggestivo il regista Pier Luigi Pizzi regala ai romani l'opera di Giacomo Puccini che ha con la Città Eterna il legame più  forte. Legame che i cittadini della Capitale non hanno tradito, tanto che la prima, andata in scena giovedì scorso, ha registrato il tutto esaurito. Ma lo spettacolo del Teatro dell'Opera non è finito, perché sono in programma repliche per stasera (sabato 3 agosto), domani e martedì. In uno stile nuovo, in cui il destino della cantatrice Floria s'intreccia con la Roma fascista degli anni Trenta e Quaranta. E' questa la rivisitazione che Pizzi, per il suo debutto alla regia dopo sessant'anni di esperienza come costumista e scenografo, ha elaborato per l'opera di Puccini, la cui prima assoluta andò in scena il 14 gennaio 1900 al Costanzi, dove è ancora conservato lo splendido costume indossato dalla romena Hariclea Darclée, il soprano che interpretava Floria.    I panni della cantatrice pucciniana, sul palco delle Terme di Caracalla, sono ora vestiti da Martina Serafin, la voce viennese di origini italiane che più volte si è misurata con questo ruolo. Nel 2008, infatti, aveva cantato proprio al Costanzi, sotto la regia di Franco Zeffirelli, per una ricostruzione dettagliata dei luoghi in tutti i tre atti, da Sant'Andrea della Valle a palazzo Farnese, per finire al pathos di Castel Sant'Angelo. Ma se Zeffirelli si attenne in maniera fedele e minuziosa al libretto, lo stesso non si può dire per Pizzi, che ha vestito i personaggi con abiti anni Trenta e messo sul palco le guardie papaline con le divise fasciste. Una scelta stilistica che ai fondamentalisti dell'opera e agli osservatori poco attenti potrebbe far storcere il naso e generare anche confusione, ma che, in realtà, apre un'approfondita analisi sul messaggio intrinseco che il regista vuole comunicare. Non si tratta, infatti, di una demonizzazione del Fascismo in quanto tale, che vede la sua massima rappresentazione nella spregiudicatezza di Scarpia vestito da gerarca. E' invece una critica verso qualsiasi forma di totalitarismo, che genera l'istinto della sopraffazione negli uomini che raggiungono il potere e che lo usano per scopi personali. Proprio come fa il capo della polizia papalina.  "Mi interessava il tema del potere in mano a personaggi come Scarpia. Questo non vuole essere provocatorio, ma è uno spostamento d'epoca che permette di situare l'azione in un clima più dimesso", ha spiegato Pizzi. "Tutto si svolge nella dimensione di un dramma borghese all'italiana, con le tensioni che si creano in presenza di un governo totalitario", ha sottolineato il regista, che ha precisato come Tosca, nel suo allestimento, non sia assolutamente "una vittima, ma un donna che decide il suo destino con freddezza, ha la stessa statura di Scarpia e combatte contro l'arroganza del potere nella Roma degli anni Trenta. Di questo momento storico ho sfruttato le tensioni politiche, la protervia di chi era al comando. In un simile contesto Tosca non risulta certo un'ingenua. Cede a Scarpia per amore di Mario, ma è più scaltra del capo della polizia pontificia, tanto da annientarlo", ha concluso. Grande l'interpretazione della Serafin sul palco, così come la performance del tenore coreano Alfred Kim nel ruolo del pittore Mario Cavaradossi. Il personaggio di Scarpia è affidato a Claudio Sgura, mentre l'evaso Angelotti è Alessandro Guerzoni. Paolo Maria Orecchia veste i panni del Sagrestano, Antonello Ceron quelli di Spoletta, Francesco Verna è Sciarrone e Alessandro Fabri il Carceriere. Sul podio il maestro Renato Palumbo. (Ri.Ca.)

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