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Fibrillazione atriale in Italia"Ne soffre un anziano su 12"

Presentati i dati emersi dal ‘Progetto Fai: la fibrillazione atriale in Italia' che ha monitorato la prevalenza di questa aritmia nella popolazione over 65 e gli standard di terapia

Maria Rita Montebelli
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Quella degli anziani è la fascia di popolazione soggetta a maggiore rischio cardiovascolare. Nasce quindi per valutare la frequenza della fibrillazione atriale negli anziani italiani, determinando al contempo il rischio cardioembolico e l'aderenza agli standard internazionali di trattamento, il ‘Progetto Fai: la fibrillazione atriale in Italia', finanziato dal Centro per il controllo delle malattie del ministero della salute, promosso dal dipartimento di neuroscienze, psicologia, area del farmaco e salute del bambino (Neurofarba) dell'università di Firenze, coordinato dalla regione Toscana e sviluppato in collaborazione con l'Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche. “Il Progetto Fai ha permesso di stimare, per la prima volta nel nostro paese, la frequenza della fibrillazione atriale in un campione rappresentativo della popolazione anziana italiana – ha dichiarato il professor Domenico Inzitari, responsabile scientifico del progetto, università di Firenze, Neurofarba - i tassi di prevalenza riscontrati indicano una frequenza elevata di questa importante aritmia negli anziani in Italia, che risulta, tuttavia, in linea con le stime più recenti attualmente disponibili nei paesi occidentali, ed indica che nel nostro Paese, nella popolazione anziana, sono oltre 1 un milione 100 mila gli individui affetti da fibrillazione atriale”. Per garantire la rappresentatività nazionale, il progetto è stato sviluppato in 3 unità operative situate al nord (in Lombardia, area di Bergamo), al centro (Toscana, Firenze) e al sud (Calabria, Vibo Valentia). Una quarta unità operativa, situata a Firenze, si occupava di validare i dati cardiologici, compresa la lettura centralizzata di tutti gli elettrocardiogrammi effettuati nel progetto. Il campione totale del Progetto era costituito da tutti gli ultrasessantacinquenni assistiti dai medici di medicina generale partecipanti, per un totale di circa 6 mila soggetti, ovvero 2 mila per unità operativa. I soggetti coinvolti nel progetto sono stati sottoposti ad una doppia procedura di screening, domiciliare e ambulatoriale, seguita da una fase di conferma diagnostica che prevedeva l'esecuzione di un elettrocardiogramma (Ecg). Tutti gli Ecg venivano poi valutati attraverso una lettura centralizzata da parte dei cardiologi dell'unità operativa di Firenze.I risultati emersi dal Progetto, considerando anche le differenze territoriali rilevate, forniscono la base conoscitiva per ulteriori interventi mirati a ridurre il peso di questa importante e frequente aritmia che costa al Servizio sanitario nazionale, solo prendendo in considerazione i costi diretti determinati dal verificarsi di un ictus cerebrale, oltre un miliardo di euro ogni anno. Dal Progetto è emerso che in Italia un anziano su 12 è affetto da fibrillazione atriale, patologia che si è confermata strettamente correlata all'età: i tassi vanno, infatti, dal 3 per cento nei soggetti nella fascia d'età 65-69 anni al 16,1 per cento nei soggetti over85. Lo studio si è proposto, inoltre, di valutare le terapie in corso nei casi di fibrillazioni atriali già diagnosticati e le eventuali motivazioni del non trattamento, applicando i criteri internazionali di valutazione. La fibrillazione atriale aumenta in maniera significativa il rischio di ictus cerebrale, ma i farmaci anticoagulanti attualmente disponibili consentono una riduzione di tale rischio di oltre il 70 per cento. I dati acquisiti nel Progetto Fai indicano una buona aderenza alle linee guida relativamente al trattamento con farmaci anticoagulanti, con circa il 70 per cento dei pazienti fibrillanti trattati. I dati indicano anche che le percentuali di pazienti trattati con i nuovi anticoagulanti stanno ormai raggiungendo quelle dei pazienti trattati con la vecchia terapia. Emerge però un dato allarmante: il 30,7 per cento dei pazienti del campione non viene ancora trattato con farmaci anticoagulanti. Alcuni per motivazioni obiettivamente valide, ma percentuali non trascurabili di pazienti sono senza trattamento per convinzioni ormai superate dalle linee guida più recenti, come la presenza di fibrillazione atriale parossistica, considerata talvolta meno pericolosa, o la convinzione che i soli farmaci antiaritmici o antiaggreganti forniscano una buona protezione. Ben il 14,3 per cento del campione manifesta, inoltre, una scarsa aderenza alle terapie. (MATILDE SCUDERI)

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