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Presentata in ritardo di 10 mesie 'in incognito' la relazione 2016

Consultori in diminuzione e poco efficienti, solo il 59,4 per cento delle strutture pratica l'interruzione volontaria della gravidanza. L' analisi e gli ultimi dati di Associazione Coscioni e Amica

Maria Rita Montebelli
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La relazione 2016 sull'attuazione della legge 194 del 78 concernente le 'Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza' è stata presentata nei giorni scorsi dal Ministero della salute, in incognito e in ritardo di circa 10 mesi: infatti, il rapporto avrebbe dovuto essere emanato in febbraio, stando a quando indicato proprio dall'art. 16 della stessa normativa. In base a quanto emerge dalla relazione, le interruzioni volontarie di gravidanza nel 2016 sono state 84926, registrando una riduzione del 3,1 per cento rispetto al 2015 e mantenendo il dato al di sotto delle 100 mila Ivg all'anno per il terzo anno consecutivo. “E' interessante notare come la relazione attribuisca, almeno in parte, questo fenomeno alla eliminazione dell'obbligo di prescrizione medica per la contraccezione di emergenza ormonale (pillola del giorno dopo e pillola dei cinque giorni dopo) - dichiarano Mirella Parachini, Filomena Gallo e Anna Pompili, dell'Associazione Luca Coscioni e dell'Associazione medici italiani contraccezione e aborto (Amica) - I dati Aifa riportati dalla relazione mostrano un incremento significativo delle vendite di Upa (più che decuplicate dal 2014 al 2016). Se realmente così fosse, la ministra dovrebbe trarre le ovvie conseguenze, eliminando l'obbligo di prescrizione per le ragazze minorenni, e permettendone la distribuzione gratuita nei consultori e nei poliambulatori”. Dall'analisi della relazione effettuata dalle rappresentati dell'Associazione Luca Coscioni e Amica, emergono le tematiche più spinose in seno all'interruzione di gravidanza: in primo luogo, l'abortività clandestina ha cambiato totalmente rotta, complice l'introduzione di farmaci sicuri e facilmente reperibili che non provocano effetti collaterali tali da costringere la paziente al ricovero ospedaliero. Si tratta dunque di una grossa sfida per il Servizio sanitario nazionale, alimentata dall'alto tasso di ginecologi obiettori di coscienza associato, in alcune regioni, alla diminuzione dei tempi di attesa: questo elemento porta a presumere un eventuale aumento del ricorso a metodiche 'fai da te' in ambienti in cui l'accesso alla procedura è reso arduo proprio a causa del grande numero di obiettori di coscienza. Per quanto riguarda la metodica farmacologica, rimane stabile il dato relativo alla percentuale di Ivg farmacologiche rispetto al totale delle stesse (15,7 per cento nel 2016 contro il 15,2 per cento nel 2015). I risultati emersi, dunque, dovrebbero confermare la sicurezza della metodica così come riscontrato anche negli altri paesi, ma con una differenza sostanziale. All'estero infatti, tali procedure mediche hanno luogo a casa o in regime ambulatoriale, mentre in Italia è necessario il ricovero, gravando non poco sulle risorse del Servizio sanitario nazionale. Anche in questo caso, Parachini, Gallo e Pompili sottolineano l'importanza di un cambio di rotta, che conduca all'accesso alla metodica farmacologica anche in regime ambulatoriale per le gravidanze fino a 7 settimane e all'aumento del limite per il farmacologico fino a 9 settimane, così come avviene negli altri paesi europei, in accordo con la correttezza della procedura del mutuo riconoscimento, disattesa nel nostro paese. Uno degli aspetti più delicati riguarda l'obiezione di coscienza: solo il 59,4 per cento delle strutture con reparto di ostetricia pratica l'interruzione volontaria della gravidanza. Sono ancora forti le perplessità circa le rilevazioni delle percentuali di obiettori e il carico di loro che spetta loro. In questo caso il consiglio è quello di invitare gli operatori ai tavoli tecnici convocati dal ministero, ossia chi conosce meglio questo lavoro e le relative criticità. Infine, dal rapporto emergono i dati relativi alla situazione dei consultori, che risultano essere 0,6 ogni 20 mila abitanti, a fronte delle indicazioni fornite dal 'Pomi' del 2000 che ne prevedeva 1 ogni 20 mila abitanti; a ciò si aggiunge anche che “molte sedi di consultorio familiare sono servizi per l'età evolutiva o dedicati agli screening dei tumori e pertanto NON svolgono attività connessa al servizio IVG”. La situazione attuale dei consultori risulta quindi piuttosto critica, il loro numero è diminuito e appare inefficiente la funzione primaria per cui essi sono stati concepiti così come definito dalla legge 405 del 75, fondamentale per una reale azione di prevenzione del ricorso all'interruzione volontaria della gravidanza. (FEDERICA BARTOLI)

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