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Italia: tumore ovarico, ancora ostacoli al test genetico BRCA

Promuovere la diffusione e l'accesso delle donne ai test genetici BRCA permette la diagnosi precoce del cancro ovarico, la prognosi e il trattamento con farmaci particolarmente innovativi ed efficaci nelle pazienti con mutazione BRCA

Maria Rita Montebelli
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L'avvento dei test genetici permette di prevedere, diagnosticare precocemente e trattare al meglio molte forme di tumore. Una di queste è il tumore ovarico che presenta le mutazioni del gene BRCA, di cui si sono occupati i giornali di tutto il mondo in seguito alle vicende dell'attrice Angelina Jolie che, dopo aver scoperto di essere portatrice della mutazione, ha scelto di sottoporsi a chirurgia preventiva. Ma nonostante il risalto internazionale, l'informazione su questi temi è ancora carente come lo è il ricorso ai test genetici che permettono oggi di identificare persone, o intere famiglie, ad elevato rischio di cancro e consentono di intervenire preventivamente o con terapie innovative mirate ai pazienti che presentano i geni mutati. Secondo i dati AIRTUM, ogni anno nel nostro Paese circa 5 mila donne ricevono una diagnosi di cancro dell'ovaio e la ricerca del gene mutato si pratica in meno del 70 per cento dei casi, nonostante il suo grande valore predittivo e terapeutico. Lo studio Every Woman, la prima ricerca mondiale su pazienti con tumore ovarico promosso dalla World Ovarian Cancer Coalition presentata al recente ESMO 2018, conferma uno scenario sconfortante: il 70 per cento delle donne non ha mai sentito parlare di questa malattia prima della diagnosi; solo il 54,7 per cento delle pazienti è stata sottoposta al test genetico BRCA, percentuale che sale al 65,2 per cento tra le pazienti italiane; preoccupante la variabilità di accesso ai test e ai trattamenti. Una maggiore conoscenza della malattia e un accesso più omogeneo e con minori ostacoli (tempi di esecuzione, di risposta e qualità del test) sul territorio nazionale al test BRCA, è fondamentale per un riconoscimento precoce del tumore ovarico e per consentire alle pazienti mutate di ricevere farmaci particolarmente efficaci, come ha dimostrato la terapia di mantenimento con olaparib, un PARP inibitore che nello studio SOLO-1 di fase III ha ridotto il rischio di progressione o morte del 70 per cento nelle pazienti con carcinoma ovarico di nuova diagnosi e avanzato con mutazione BRCA. Come promuovere una comunicazione efficace e chiara su argomenti così delicati e complessi è stato il tema del Corso di Formazione Professionale 'Il caso Gene Jolie: come comunicare con chiarezza e rigore le opportunità dei test genetici nella lotta contro il tumore', promosso dal Master di comunicazione scientifica della Sapienza SGP – La Scienza nella Pratica Giornalistica, con il supporto non condizionante di AstraZeneca e MSD. La medicina sarà sempre più preventiva, predittiva e personalizzata, ciò comporterà di conseguenza il necessario coinvolgimento delle persone e una loro maggiore informazione riguardo la salute, la malattia e gli strumenti per gestirle. Il tumore dell'ovaio è una malattia insidiosa che nell'80 per cento dei casi, in mancanza di sintomi specifici e di esami che consentano la diagnosi precoce, viene scoperta in fase avanzata, per tale motivo la mortalità resta elevata. «Oggi – ha detto Sandro Pignata, direttore di Oncologia Medica Uro-Ginecologica, Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli – si raccomanda per tutte le donne affette da carcinoma ovarico la ricerca delle mutazioni BRCA 1 e 2, in tal modo si identificano i casi positivi alla mutazione per i quali è necessario attuare le opportune misure preventive e un follow-up diagnostico molto stretto». La storia familiare è uno dei maggiori fattori di rischio del carcinoma ovarico a causa della trasmissione ereditaria della mutazione dei geni BRCA. «Nonostante la percentuale di accesso al test BRCA in Italia superi la media mondiale non è accettabile che per una donna su tre il percorso rimanga difficoltoso – commenta Nicoletta Cerana, presidentessa di Alleanza contro il cancro ovarico ACTO onlus - noi siamo concretamente impegnati nel sostenere il diritto delle pazienti ad accedere ai test, anche attraverso campagne di sensibilizzazione delle donne, dell'opinione pubblica e delle istituzioni». «La valutazione dello stato mutazionale di BRCA nelle pazienti con carcinoma ovarico ha un ruolo fondamentale, non solo per l'identificazione della predisposizione familiare al cancro, ma anche per indirizzare le scelte terapeutiche e l'approccio chirurgico – ha affermato Giovanni Scambia, direttore del Dipartimento per la Salute della Donna e del Bambino, Fondazione Policlinico Universitario 'Agostino Gemelli' di Roma – le recenti Linee-guida italiane hanno ribadito l'importanza della ricerca della mutazione BRCA per tutte le pazienti con carcinoma ovarico non mucinoso e non borderline, carcinoma delle tube di Falloppio o carcinoma peritoneale primitivo ed hanno anche sottolineato come sia preferibile, laddove possibile, eseguire in prima istanza il test somatico, per poi eseguire la ricerca sul germinale in quelle pazienti con esito positivo». La comunicazione da parte dei media di tematiche così importanti come il tumore ovarico è compito arduo: da un lato si avverte il bisogno di diffondere la conoscenza su questa patologia dall'altro il rischio è quello di cadere nel sensazionalismo fine a se stesso. «La prevenzione dei tumori non è un argomento amato dai media, perché troppo focalizzato sugli stili di vita che fanno fatica a diventare notiziabili – ha sottolineato Adriana Bazzi, giornalista scientifica del Corriere della Sera – poi ci sono i casi particolari, come i test genetici che servono a predire malattie, primo tra tutti i test per i geni BRCA 1 e 2 per il tumore del seno e, in particolare, il tumore dell'ovaio per il quale non esiste diagnosi precoce. I media potrebbero avere un nuovo ruolo, ancora tutto da definire». È sempre più urgente ricostruire un'alleanza comunicativa tra medici e pazienti dalla quale il giornalismo scientifico può trarre spunti positivi per portare nel modo giusto all'opinione pubblicale conoscenze, i progressi e le speranze. «La comunità scientifica ed esperti di comunicazione scientifica si sono interrogati molto sull'effetto Jolie, sulla sua portata ed efficacia in termini di prevenzione e migliore cura – ha sottolineato Letizia Gabaglio, giornalista scientifica – senza dubbio il coinvolgimento di personaggi famosi favorisce la penetrazione del messaggio, tuttavia l'informazione giornalistica non può e non vuole esaurire alcun tema, meno che mai quelli medico scientifici di cui i pazienti dovrebbero parlarne con i medici trovando nuove e diverse forme di comunicazione». (STEFANO SERMONTI)

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