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Italia: salute mentale garantita, ma ancora a macchia di leopardo

Dall'approvazione nel 2014 del documento di programmazione sui percorsi di cura per i pazienti affetti da disturbi mentali, c'è ancora molta strada da fare: livelli assistenziali ancora troppo diversi da regione a regione

Maria Rita Montebelli
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Per affrontare i problemi legati ai disturbi mentali, in particolare alla qualità dell'offerta di cura nei sevizi italiani, Motore Sanità ha organizzato in Senato, con il contributo incondizionato di Angelini, il convegno ‘Evoluzione e futuro della cura dei disturbi mentali' che, vede il coinvolgendo di istituzioni, clinici e rappresentanti dei cittadini. In Italia, i dati del rapporto sulla salute mentale del 2017 dicono che i pazienti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici siano oltre 850 mila; di cui 336 mila entrati in contatto con i servizi per la prima volta; le persone di sesso femminile rappresentano il 54 per cento dei casi; il 68 per cento dei pazienti sono al di sopra dei 45 anni. La spesa complessiva è stata di 4 miliardi di euro, di cui l'assistenza ambulatoriale ben il 47 per cento del complessivo, il residenziale il 40 per cento e il semiresidenziale il 13 per cento. Il costo medio annuo per residente dell'assistenza psichiatrica, territoriale e ospedaliera, è pari a 78 euro. Il disturbo mentale deve essere considerato una malattia cronica a tutti gli effetti e non un problema, perché così facendo si rischiano tardiva diagnosi e bassa aderenza alla terapia. Le persone con psicopatologia non hanno colpe, devono essere considerate affette da patologia così come molti altri: bisognerebbe pensare a terapie croniche già in età giovanile, in modo da non dover rinunciare a vivere normalmente e a formare nuovi specialisti oltre che in accademia direttamente sul campo. “La psichiatria moderna è una scienza che sta vivendo una straordinaria rivoluzione teoretica, metodologica e scientifica – ha detto Massimo Di Giannantonio, copresidente della Società Italiana di Psichiatria – Come la medicina generale, che negli anni 50 con la scoperta del genoma ha rivoluzionato i confini del sapere medico, oggi la psichiatria con la scoperta del Connettoma, la rete neuro-biologica che collega tra di loro i centri cerebrali ed elabora il pensiero e le nostre azioni, costruisce una conoscenza ultrastrutturale del cervello ed inizia a spiegare i meccanismi più' profondi delle malattie psichiche. Questo enorme cambiamento conoscitivo impone radicali cambiamenti nella metodologia e nella prassi della formazione dei nuovi psichiatri del terzo millennio. Infatti, i nuovi specialisti in formazione psichiatrica devono formarsi in una scuola inserita sia nel mondo accademico sia nel mondo del servizio sanitario nazionale, che comprende le nuove realtà ospedaliere e quelle territoriali. Il loro orizzonte mentale e la loro cultura devono essere aperti a tutte queste realtà, affinché possa esistere una rete di collaborazione tra tutti questi setting differenti, con il fine ultimo di assicurare una vera continuità assistenziale – ha concluso Di Giannantonio – La formazione dei nuovi specialisti deve dunque passare, con rigore metodologico, attraverso didatti universitari, ospedalieri e territoriali. Infine, Il nuovo specialista psichiatra deve sapersi muovere con agilità non solo negli ambiti della psicopatologia e della psicofarmacologia, ma anche della psicoterapia”. Le cure e i servizi, pur avvicinandosi ai modelli individuati, purtroppo non sono garanti allo stesso modo su tutto il territorio nazionale: non è un problema economico, è che i soldi sono utilizzati in modo errato, l'impatto sulla gestione della patologia è il vero costo. “I Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali sono garanzie di qualità delle cure perché riflettono gli standard più adeguati, per il trattamento dei disturbi mentali gravi e persistenti, ma le Regioni devono attrezzarsi per adeguare i servizi a quegli standard attraverso azioni progressive di avvicinamento ai modelli individuati - ha dichiarato Michele Sanza, direttore Unità Operativa Servizio Dipendenze Patologiche, Azienda Unità Sanitaria Locale Romagna Cesena – Bisogna aumentare le risorse disponibili per i Servizi di Salute Mentale ampiamente sotto finanziati rispetto allo standard atteso del 6 per cento del fondo sanitario nazionale. Riformare l'organizzazione dipartimentale creando presupposti per una vera integrazione tra sevizi per l'adolescenza e quelli dell'adulto; oggi è necessario ridurre il tempo che intercorre tra la comparsa dei primi sintomi e l'inizio delle cure. La separazione dei servizi al 18° anno di vita è un vero ostacolo al raggiungimento di questo obiettivo. Formare professioni sanitarie specifiche per la salute mentale, sia medici attraverso rapporti più organici con Università e scuole di specializzazione che personale del comparto che arriva a lavorare nei centri di salute mentale con un bagaglio di poche ore di in-formazione sui disturbi mentali e nessuna conoscenza tecnico pratica. Potenziare le infrastrutture, perché per applicare i PDTA è necessario avere standard numerici di riferimento che indichino quanta di quella strada di avvicinamento ai contenuti delle Linee Guida è stata percorsa e si è tradotta in offerta di servizi di qualità. Infine, il destino dei disturbi psichici dipende solo in una certa misura dai trattamenti terapeutici; è necessaria la collaborazione dei Dipartimenti di Salute Mentale con gli Enti Locali per favorire politiche di accesso al lavoro, per attuare il diritto all'abitare e spazi di vita che favoriscano piena integrazione delle persone con disturbi psichici nel tessuto umano e culturale della Comunità”. "Occorre innanzitutto riportare l'attenzione sul grave sottofinanziamento che affligge da anni il settore della salute mentale – ha detto Fabrizio Starace, presidente Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica – i dati più recenti indicano che la spesa media nazionale si attesta al 3,6 per cento del fondo sanitario. Va tuttavia analizzata anche la composizione della spesa e la reale produzione di valore che gli investimenti determinano: parte significativa dei circa 2 miliardi di euro impegnati nella residenzialità psichiatrica potrebbero essere meglio utilizzati in progetti personalizzati sostenuti da budget individuale di salute, perseguendo obiettivi di autonomia e qualità di vita". (MARCO BIONDI)

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