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Combinazione di 4 farmaci aumenta la 'sopravvivenza'

Una nuova combinazione di quattro farmaci - cisplatino, nab-paclitaxel, capecitabina, gemcitabina – con soli 2 accessi ospedalieri mensili anziché 3approvata da AIFA per il trattamento dei pazienti con adenocarcinoma pancreatico

Maria Rita Montebelli
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Hanno addirittura scomodato il magico trio di comici Aldo, Giovanni e Giacomo per fare un video di supporto della prima campagna nazionale a favore di una sperimentazione clinica indipendente e multicentrica sul cancro del pancreas, la quarta causa di morte per tumore: ogni anno si ammalano circa 13.500 persone, nel 2016 i decessi per questo tipo di tumore sono stati più di 12 mila e sappiamo che questo numero è destinato ad aumentare. Per oltre la metà dei pazienti la diagnosi avviene tardivamente, quando la malattia è in stadio metastatico, ecco perché, pur avendo un'incidenza relativamente bassa (rappresenta circa il 3 per cento dei tumori maligni), l'impatto sui pazienti e le loro famiglie è devastante: la sopravvivenza a 5 anni è pari all'8 per cento. “La ‘fatica di decidere' è l'espressione che meglio cattura lo stato d'animo di chi si trova ad affrontare questo tipo di malattia, completamente impreparato, indipendentemente da grado di istruzione o status sociale – spiega Piero Rivizzigno, presidente dell'Associazione Codice Viola – Il nostro sforzo è quello di alzare l'attenzione su questa patologia che allo stato attuale può considerarsi una vera emergenza sanitaria che mette a rischio la vita dei pazienti, non solo perché ha la peggiore prognosi fra tutti i tumori solidi, ma anche perché ci sono purtroppo un numero limitato di protocolli di cura e centri ospedalieri non sufficientemente specializzati per una presa in carico efficace del paziente”. La chemioterapia è, insieme alla chirurgia, la più importante arma a disposizione contro il tumore del pancreas. Due recenti studi indipendenti hanno dimostrato l'efficacia di una nuova associazione di quattro farmaci, PAXG (cisplatino, nab-paclitaxel, capecitabina, gemcitabina), che è stata approvata da AIFA a giugno 2019. In uno studio randomizzato di fase II la quadruplice combinazione ha ottenuto un miglioramento significativo della sopravvivenza (sopravvivenza a 1 anno 62 per cento, sopravvivenza a 2 anni 24 per cento), rispetto allo schema a due farmaci AG (nab-paclitaxel e gemcitabina); ha inoltre significativamente aumentato la sopravvivenza libera da progressione (circa 8.3 verso 6.1 mesi), le risposte radiologiche (50 versus 29 per cento) e il numero di pazienti con riduzione del marcatore tumorale CA19.9 ≥ 50 per cento (75 versus 58 per cento). Vantaggi analoghi sono stati osservati anche nella malattia localmente avanzata (pazienti vivi a 18 mesi 69 per cento con PAXG rispetto a 54 per cento con gemcitabina e nab-paclitaxel). “La commissione Tecnico-Scientifica di AIFA ha autorizzato lo schema a inizio giugno 2019 e ci auguriamo che venga presto pubblicato in Gazzetta Ufficiale per poterlo utilizzare al più presto nella pratica clinica  –  spiega Michele Reni, direttore del Programma Strategico di Coordinamento Clinico, Pancreas Center, IRCCS Ospedale S. Raffaele, Milano –  Questo cocktail di farmaci ha infatti degli indubbi vantaggi clinici, richiede solo 2 accessi ospedalieri mensili anziché 3 e, rispetto allo schema attuale, ha anche un costo inferiore di circa il 15 per cento. Non ultimo, lo schema è adatto anche per i pazienti con mutazione BRCA, consentendo di poter somministrare il platinante, ritenuto attualmente necessario per questi pazienti, senza rinunciare al nab-paclitaxel”. “Oltre all nuove opzioni terapeutiche che sono di fondamentale importanza per i pazienti è necessaria tuttavia una rivalutazione più strutturale dei modelli organizzativi e di cura per migliorare il livello di adeguatezza degli ospedali italiani, anche per quanto riguarda il trattamento chirurgico al quale è associata ancora una notevole incidenza delle recidive e della mortalità ad un anno”, precisa Rivizzigno. La chirurgia per il tumore del pancreas può essere molto utile, ma anche molto dannosa, se l'ospedale non è adeguato. Un nuovo studio ha evidenziato che ci sono 300 ospedali in Italia (il 77 per cento delle strutture che eseguono resezioni pancreatiche) che realizzano in media solo 3 operazioni al pancreas all'anno, troppo poche considerando che si tratta di uno degli interventi più complessi di tutta la chirurgia addominale.  “Se l'ospedale non ha l'esperienza sufficiente, il paziente potrebbe non ricevere un trattamento adeguato – commenta Gianpaolo Balzano, responsabile dell'Unità Funzionale di Chirurgia Pancreatica, Pancreas Center, IRCCS Ospedale S. Raffaele, Milano e autore dello studio – Il rischio più grave è la mortalità operatoria: lo studio ha evidenziato che in quei 300 ospedali la mortalità per resezione pancreatica è superiore al 10 per cento, quindi 3 volte più alta rispetto ai centri con maggiore esperienza, dove si attesta al 3.1 per cento. In alcuni ospedali questo rischio può essere addirittura superiore al 20 o 25 per cento. C'è poi un altro rischio, meno evidente ma altrettanto grave per il paziente, cioè che non vengano prese le decisioni corrette, come per esempio operare un paziente che non dovrebbe essere operato, non arrivare alla diagnosi in tempi adeguati o non gestire adeguatamente la chemioterapia”.   Il tumore del pancreas può essere asportato solo nel 20 per cento dei pazienti: la complessità della chirurgia risiede anche nella capacità di selezionare con attenzione i candidati all'intervento. Una precedente ricerca aveva mostrato che negli ospedali a ‘basso volume' i pazienti sono sottoposti a un eccesso di interventi chirurgici inutili, cioè senza che il tumore venga asportato (63 per cento delle operazioni eseguite negli ospedali a ‘minor volume' contro 24 per cento in quelli a maggior volume), interventi che, secondo le linee guida, dovrebbero essere ridotti al minimo. Consideriamo infatti che vi è un aumentato rischio di morire anche per questo tipo di interventi (mortalità 10.6 per cento negli ospedali a minor volume contro il 4.6 per cento dei più grandi). Cosa fare allora? “Analogamente a quanto fatto dalla Conferenza Stato-Regioni con l'istituzione delle ‘Breast Unit' nel 2014, dovrebbero essere istituite le ‘Pancreas Unit', con precise linee di indirizzo organizzative e assistenziali. Ogni Regione dovrebbe poi individuare al più presto le strutture appropriate, prendendo in considerazione sia un criterio di ‘volume minimo', che la qualità delle prestazioni offerte. L'ospedale dovrebbe garantire un basso tasso di mortalità operatoria e un team multidisciplinare con competenze specifiche proprio sulla patologia pancreatica, per la gestione della diagnosi, della cura e delle complicanze post-intervento”, conclude Balzano. (EUGENIA SERMONTI)

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