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Pubblicato il primo ‘Patient Journey' dei pazienti con leucemia linfatica cronica patrocinato dall'Ail

Secondo i dati raccolti su 668 pazienti di 32 centri ematologici italiani l'80 per cento dei pazienti la malattia impatta sull'intera esistenza, e per il 78,3 per cento interferisce con le relazioni interpersonali

Maria Rita Montebelli
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668 pazienti, provenienti da 32 Centri Ematologici diffusi su tutto il territorio nazionale, sono i protagonisti del primo Patient Journey europeo sulla Leucemia Linfatica Cronica, sviluppato a partire dal punto di vista del paziente chiamato a raccontare il suo incontro con la malattia e la sua storia. Nei giorni scorsi, a Roma si è tenuta la conferenza stampa di presentazione dei risultati del progetto ‘LLC: un incontro che cambia la vita', promossa da AIL – Associazione Italiana contro leucemie, linfomi e mieloma, con il contributo non condizionante di ABBVIE. Attraverso il racconto delle esperienze dei pazienti e del loro percorso, il Patient Journey è uno strumento ormai diffuso in medicina per esplorare l'impatto che la gestione delle malattie ha sulla vita dei pazienti e delle persone a loro vicine, dal momento della diagnosi a quello di cura. L'incidenza della Leucemia Linfatica Cronica aumenta con l'età: il 75 per cento dei casi viene diagnosticato in pazienti con più di 60 anni. Il paziente passa dal disorientamento della diagnosi al voler conoscere quanto più possibile della malattia per capire l'impatto sulla sua quotidianità e sulla sua vita di relazione. L'obiettivo dell'imponente lavoro è identificare le aree di criticità che necessitano di interventi migliorativi tesi a rendere i percorsi di cura più coerenti con i bisogni dei pazienti e realizzare una mappa ideale del percorso di cura. Il report si apre con il momento della comunicazione della diagnosi destinata a cambiare la vita delle persone: se la maggior parte si dichiara soddisfatto rispetto alle modalità, al luogo e al tempo in cui è avvenuta, il 15 per cento non si è sentito a proprio agio. Si tratta di un evento improvviso che costringe le persone a ripensare la propria vita. “Pensi sempre che a te non possa capitare mai una cosa del genere” è quello che riferiscono le persone malate. Una su due anche a distanza di anni ricorda il momento della diagnosi in modo estremamente nitido. “Avevo 41 anni, ero con mia moglie quando il medico pronunciò la parola leucemia. Sono precipitato nel baratro più profondo” dice un paziente. Un altro ricorda “mi sono spaventato e ho pensato che la mia vita fosse finita”. L'età è un fattore importante sulla reazione e la visione del futuro che è più pervasiva se la persona è giovane e nel pieno della realizzazione. Il medico fa spesso la differenza nel modo in cui la notizia viene recepita: non può cambiare i fatti ma può annullare le distanze, rassicurare e creare un clima di fiducia in cui la persona può fare domande e chiedere cosa succederà, cosa si deve aspettare. “Il momento della diagnosi è un ricordo che rimane impresso nella mente delle persone, una cicatrice indelebile nella memoria. La malattia irrompe come uno tsunami nella ‘vita normale' dei pazienti e dei loro familiari. La qualità del rapporto medico-paziente è un elemento determinante sull'efficacia della terapia: la giusta informazione, nella giusta dose, al momento giusto, con rivalutazione successiva. Il tempo della comunicazione costituisce tempo di cura, come indicato dalla legge 219/17 – spiega Felice Bombaci, referente del Gruppo AIL Pazienti - Un ascolto attento dei timori e dei bisogni del malato, la capacità di dare informazioni chiare ed esaustive sulla malattia, i cambiamenti dello stile di vita da adottare, ma anche indicazioni sui progressi della ricerca scientifica e le cure disponibili, aiutano a riprendersi dalle paure iniziali, a riprogrammare la propria vita e il proprio futuro, a ridefinire l'orizzonte”. Capire a fondo la malattia e le sue conseguenze è il primo passo per accettarla e imparare a conviverci, per questo il momento della diagnosi, delle modalità e il luogo con cui avviene e del tempo dedicato sono fondamentali. Eppure dall'indagine emerge che proprio a questo momento clou non è dedicata sufficiente attenzione: l'81 per cento dei pazienti infatti dopo l'incontro in cui viene comunicata la diagnosi sente il bisogno di ridiscutere con il medico aspetti che sono risultati poco chiari. Un ascolto attento dei timori e dei bisogni del malato, la capacità di dare informazioni chiare ed esaustive sulla malattia, i cambiamenti dello stile di vita da adottare, ma anche indicazioni sui progressi della ricerca scientifica e le cure disponibili, aiutano a riprendersi dalle paure iniziali, a riprogrammare la propria vita e il proprio futuro, a ridefinire l'orizzonte. Rapporto con le figure professionali – L'80 per cento dei pazienti ha ricevuto la diagnosi da parte dell'ematologo e nel 63 per cento dei casi il paziente si trovava in compagnia di un familiare o una persona cara (quindi uno su 3 era solo). “La leucemia linfatica cronica (LLC) può avere un profondo impatto sulla qualità di vita dei pazienti. In tal senso, i medici hanno un ruolo importante nell'aiutare i pazienti ad affrontare le sfide fisiche, intellettuali ed emotive scatenate dalla loro malattia utilizzando una comunicazione costantemente aggiornata alle varie fasi della LLC.  Studi recenti hanno dimostrato, infatti, come l'efficacia con cui i medici comunicano con i pazienti incide sulla loro qualità della vita. Il progetto Patient journey (leucemia linfatica cronica: un incontro che cambia la vita) fornisce uno strumento di conoscenza unico per avviare un percorso personalizzato di informazione e di supporto al paziente con LLC che si adatti alle esigenze individuali della persona”, dichiara Stefano Molica, ematologo oncologo presso l'A.O. Pugliese-Ciaccio di Catanzaro. Relazioni interpersonali. Timore di essere un peso, senso di colpa, percezione di essere malato e quindi non integro, anche quando la malattia non si manifesta con sintomi evidenti, intralcia nella vita di relazione. I pazienti tentano di mantenere una normalità della vita quotidiana ma avrebbero bisogno di sostegno e di poter parlare di aspetti delicati come i problemi sessuali. Cercano quindi un luogo sicuro e protetto, un riferimento dove sentirsi accolti e capiti. Un supporto viene anche dalle associazioni pazienti, che sono state una risorsa ed un supporto per il 20 per cento del campione interessato. Emerge invece il bisogno di un supporto psicologico professionale, richiesto dal 57 per cento dei pazienti in generale e sino all'80 per cento di quelli più giovani. Un aspetto ancora non previsto nell'iter terapeutico che potrebbe invece essere implementato. Fasi del percorso di cura – visite, controlli, spostamenti, attese, tempo dedicato alle terapie quando necessarie. Ma anche un tempo dell'attesa, imposto dall'approccio watch and wait, in cui esiste una diagnosi ma la malattia è in una fase in cui non è opportuno un trattamento ma solo una osservazione attiva (interessa circa il 30 per cento dei pazienti che ricevono diagnosi di LLC). Ecco il parere del professor Paolo Ghia dell'Università Vita Salute San Raffaele di Milano: “L'unicità di questo progetto deriva dal fatto che è il primo a valutare l'impatto che la diagnosi di LLC ha sui pazienti, non solo dal punto di vista psicologico e umano, ma anche da quello più pratico, organizzativo e logistico, conseguente alle modifiche della quotidianità, tipiche di una malattia cronica che necessita controlli protratti e terapie ripetute nel tempo. Questa valutazione è stata estesa anche ai caregiver e alle persone che in modo diretto e indiretto vengono coinvolte nei cambiamenti di vita di cui fanno esperienza i pazienti. Da questa analisi a più ampio raggio, emerge che l'organizzazione dei percorsi di cura, più o meno efficiente, altera in modo critico la quotidianità, influenzando la qualità di vita delle persone coinvolte”. Il tempo diventa un elemento che assume un significato nuovo, è il tempo della cura anche in assenza di terapia: da 2 a 4 ore per ogni controllo, la cui frequenza dipende dallo status del paziente. Criticità che il campione riferisce a frequenza di controlli per il 64 per cento e al tempo trascorso in ospedale per il 67 per cento a causa di spazi inadeguati, talora poco confortevoli e non idonei con il timore di essere esposti e contagiati da nuove malattie a causa della compromissione del sistema immunitario. Ore a cui si aggiungono da mezz'ora a un'ora per ciascun tragitto, dato che informa della buona capillarità dei Centri sul territorio nazionale. Aree di miglioramento - A margine del questionario i pazienti sono stati invitati ad esplorare gli ambiti che potrebbero migliorare la loro qualità di vita, ecco quelli emersi: - necessità di informazioni su terapie naturali di supporto alla chemioterapia; - consigli sull'alimentazione più adeguata; - richiesta di rassicurazioni che le nuove terapie siano veramente utili ed efficaci; - necessità di ottimizzare e migliorare la qualità del tempo dedicato ai controlli trimestrali; - riorganizzazione dei servizi assistenziali. “Questa indagine raccoglie la voce di più di 600 pazienti con LLC e indica chiaramente in che misura questa particolare forma di leucemia ha un impatto sulla loro vita. I dati che derivano da questa survey permettono di identificare quali sono le principali difficoltà su cui è necessario un nostro concreto intervento per migliorare qualità di vita dei nostri pazienti – ha sottolineato la professoressa Francesca Romana Mauro dell'Università Sapienza di Roma – una proposta di miglioramento, in tal senso, potrebbe essere quella di fornire al paziente, in sede di colloquio, una brochure narrativa, che sintetizzi in maniera semplice, ma al tempo stesso empatica, le principali informazioni relative alla patologia e ai diversi percorsi terapeutici specifici per ciascuna fase di trattamento. Tale strumento può svolgere sia una funzione di supporto e ‘mediazione linguistica' nella relazione clinico-paziente, sia essere un veicolo per dare senso e contestualizzare le emozioni che si sperimentano in quel momento”. "Mezzo secolo al fianco dei pazienti e a sostegno della ricerca scientifica sui tumori del sangue; 50 anni di valori, passione e impegno per migliorare la qualità di vita dei pazienti ematologici – afferma il professor Sergio Amadori, presidente nazionale AIL – La promozione di questo progetto si inscrive perfettamente nell'ambito delle attività messe in campo da AIL da sempre protese al miglioramento della vita dei pazienti affetti da tumori del sangue. Quella della nostra Associazione è una grande storia fatta di tradizione e traguardi importanti, grandi successi e tanta solidarietà, ottenuti anche grazie alla collaborazione di migliaia di volontari, che rappresentano per AIL un patrimonio prezioso, all'efficace opera delle 81 sezioni provinciali diffuse su tutto il territorio nazionale, agli ematologi e ai ricercatori". L'Indagine – promossa da AIL e realizzata con il contributo non condizionato di AbbVie - ha evidenziato contenuti su due distinti livelli: uno pratico-organizzativo e l'altro che attiene alla relazione tra pazienti e sanitari. Considerare il processo di cura nella sua globalità prevede quindi un intervento ad ampio raggio che preveda misure come l'aumento del numero dei posti a sedere nelle sale d'attesa e un miglioramento dell'ambiente e interventi organizzativi come la creazione di canali preferenziali o ambulatori dedicati a seconda della fase di trattamento. Il tutto con una attenzione ai pazienti nella loro interezza e che li coinvolga senza farli sentire confinati in una posizione di marginalità rispetto alle decisioni che li riguardano. (ISABELLA SERMONTI)

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