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Latte, la fregatura che ci impone l'Europa: cosa non potrete sapere su ciò che berrete

Davide Locano
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Latte importato più che mai al centro delle polemiche. La puntata di Report andata in onda su Rai 3 lunedì scorso ha suscitato un' ondata di indignazione popolare che sui social media non si è ancora esaurita. In attesa di vedere il seguito di «Latte versato» - così era intitolata l' inchiesta di Rosamaria Aquino - che il conduttore Sigfrido Ranucci ha annunciato per domani - non si può non rilevare che la fortunata trasmissione di Rai 3 ha in realtà scoperto l' acqua calda. Non solo si sa quanto latte varchi le nostre frontiere, ma si può sapere addirittura quanti e quali formaggi, burro e yogurt escano dai caseifici italiani, prodotti a partire dal latte straniero. E lo si sa da quando è scattato l' obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima. Leggi anche: Tassa sulla plastica, Libero fa il conto: quanto paghi in un anno Precisamente dal 19 aprile 2017, in base a un decreto «sperimentale» introdotto dagli allora ministri delle Politiche Agricole (Martina) e dello Sviluppo (Calenda). Analoghi provvedimenti riguardarono la pasta, il riso e i sughi a base di pomodoro. Non le passate per le quali l' origine era obbligatoria da tempo. Purtroppo quest' ultimo pacchetto di norme è destinato a decadere presto. Precisamente dal 1° aprile 2020, fra quattro mesi, quando entrerà in vigore il regolamento di esecuzione dell' Unione europea numero 775 del 2018 sull' ingrediente primario. Da quel momento le industrie del formaggio, della pasta, del riso e del pomodoro saranno tenute a scrivere la provenienza della materia prima soltanto se sulla confezione compaiono scritte o simboli che ne facciano presupporre l' italianità. E anche in questo caso potranno cavarsela con una dichiarazione che più generica non si può, vale a dire «origine Ue» oppure «Ue e non Ue», che equivale a scrivere «pianeta Terra». CODICE DOGANALE E dire che la Commissione Ue fu costretta ad adottare il decreto sull' ingrediente primario su mandato preciso del Parlamento europeo che si pose il problema di ovviare alle distorsioni introdotte dall' articolo 60 del Codice doganale comunitario, in base al quale «un prodotto è da considerarsi originario del Paese in cui ha subito l' ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un' impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione». Qualora l' italianità non fosse ostentata, i trasformatori potranno omettere ogni riferimento alla provenienza di latte, farina, riso e pomodoro. Così le etichette torneranno ad essere del tutto anonime e i consumatori non saranno più in grado di capire cosa stanno acquistando. Dopo aver ostacolato in ogni modo l' entrata in vigore dei decreti italiani le grandi industrie di trasformazione hanno smesso di protestate. Proprio in virtù della prevista scadenza dei provvedimenti, entrati in vigore due anni or sono ma soltanto in via sperimentale. Come sempre anche in questo caso la Commissione Ue agisce in loco parentis, per tutelare cioè gli interessi della Germania e dei suoi alleati nell' Europa centrale e orientale che puntano a poter esportare le loro materie prime alimentari nel Belpaese, dove acquistano il passaporto italiano. L'unica speranza è nella campagna «Stop cibo anonimo», una sottoscrizione con cui Coldiretti ha raccolto oltre un milione di firme in sette Paesi europei. L' Europarlamento sarà obbligato a riesaminare il dossier. Ma con i tempi della Ue se ne riparla fra qualche anno. di Attilio Barbieri

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