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Coronavirus, variante indiana: terrorismo o terrore? Lo studio spazza via ogni dubbio: come stanno le cose

Lorenzo Mottola
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Ogni angolo del pianeta ormai ha la sua variante. C'è il Covid di New York, quello della Tanzania, il sudafricano, il napoletano e l'indiano. Quest' ultimo è quello che da qualche giorno sta facendo più discutere la comunità scientifica. Ieri, infatti, sono stati trovati in Veneto due tizi (padre e figlia) che avevano contratto il virus mutante dalle parti di Mumbai, ma che sono arrivati fino a Bassano senza che nessuno si accorgesse della loro malattia. Ora si parla di bloccare i voli da mezza Asia e probabilmente verrà fatto. I virologi più prudenti sostengono che sia necessario monitorare e tracciare tutti i contagi. A Latina è in corso una vasta indagine epidemiologica nei confronti della comunità Sikh. Domenico Crisarà, vice segretario della Federazione dei medici di medicina generale, spiega che il Paese è di nuovo in preda al panico: «Ogni volta che esce una notizia simile veniamo presi d'assalto dalle telefonate di cittadini terrorizzati che ci chiedono cosa fare».

 

 

DISASTRO A DELHI
Il punto è che l'India in questo momento è uno dei Paesi più colpiti dal virus. Dopo esser stata sostanzialmente risparmiata dalle prime ondate (con un ventesimo dei morti rispetto all'Italia, ovviamente in proporzione al numero di abitanti), oggi Nuova Delhi è letteralmente flagellata. Gli ospedali non hanno più posti letto, gli addetti alla cremazioni lavorano no stop e girano video di cadaveri lasciati in mezzo alla strada. Per provare a sopravvivere, racconta la Bbc, i malati cercano di curarsi a casa, comprando sul mercato nero le bombole d'ossigeno per continuare a respirare. Anche gli stessi farmaci antivirali - come il Remdesivir - si vendono a peso d'oro clandestinamente. E ovviamente di questo caos la colpa è stata data alla variante indiana del Corona. Come dobbiamo reagire, quindi? A quanto pare, non c'è ragione di agitarsi. «In India la situazione è drammatica», ha spiegato il virologo Roberto Burioni, «ma è tutto da dimostrare che sia dovuta alla variante indiana (B.1.617) che non sembra, almeno per ora, avere caratteristiche particolarmente pericolose considerando le sue mutazioni. Occhi aperti, ma niente panico e niente varianterrosismo».

 

 

LA SOLUZIONE
Il punto fondamentale è che, stando agli studi pubblicati finora, nessuna variante scoperta - e ce ne sono centinaia - parrebbe in grado di "bucare" gli antivirus in circolazione. «Dicono che nel futuro ogni settimana dovrete vaccinarvi a causa di nuove varianti», continua Burioni, «fino ad ora tutte vengono bloccate dai vaccini più efficaci, alla faccia dei pessimisti». Di conseguenza la soluzione c'è: insistere con la campagna di immunizzazione. Altra notizia confortante: esistono anche ricerche che dimostrano che continuando a cambiare il morbo perde potenza, non la incrementa. In Ohio, negli Stati uniti, gli scienziati Case Western Reserve University hanno analizzato una raccolta di dati di circa 50mila pazienti infettati dal Covid.

 

 

IL NUOVO STUDIO
Sono state identificate 488 mutazioni collegate ai sei ceppi virali iniziali. Risultato: è emerso che durante le prime settimane di diffusione dell'epidemia i ceppi sembravano associati a una mortalità e a tassi di ricovero più elevati rispetto alle varianti emerse successivamente. In poche settimane, infatti, questi virus iniziali sono stati sostituiti da ceppi più trasmissibili ma meno letali. Più contagi, meno morti. Un fatto curioso comunque c'è. Per quanto non ci sia bisogno di lanciare allarmi, tutti i ricercatori concordano sulla necessità di monitorare le mutazioni. Cosa che invece non viene assolutamente fatta. «L'Inghilterra ha un Consorzio per monitorare l'emergere di nuovi varianti del coronavirus pandemico», ha spiegato Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, «L'America ha un Consorzio e ce l'ha anche l'India. Tanto da essere stata in grado, pur con tutte le difficoltà di un Paese così sovrappopolato, di capire subito che circolava un nuovo mutante virale. Questo grazie a una sorveglianza attiva. Che da noi non c'è».

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