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Caffè, cosa succede al tuo corpo se non lo bevi: gli effetti disastrosi dell'astinenza

Daniela Mastromattei
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«Ho misurato la mia vita a cucchiaini di caffè», rivelò durante una conferenza all'università di Harvard il Nobel della Letteratura Thomas Stearns Eliot. «La scoperta del caffè fu importante quanto l'invenzione del telescopio o del microscopio; ha inaspettatamente intensificato e modificato le capacità e la vivacità del cervello umano», per dirla con le parole dello scrittore tedesco Heinrich Eduard Jacob. 

Ottenuta dalla macinazione dei semi di alcune specie di piccoli alberi tropicali, quella miscela di colore marrone scuro ha determinato grandi cambiamenti nell'umanità e stravolto i ritmi naturali di veglia e sonno legati alla luce diurna. E reso possibili nuovi tipi di lavoro (notturni) e, probabilmente, anche nuovi tipi di pensiero. 

Ne è convinto Michael Pollan, giornalista scientifico statunitense, che ha più volte affrontato il tema della caffeina («aiuta a sopportare il mondo che ha aiutato a creare») nei suoi libri intrecciando storia, antropologia e medicina, nutrizione e politica. Ma il mondo sarebbe lo stesso senza quella tazzina di caffè, «balsamo del cuore e dello spirito» per Giuseppe Verdi? 

E il capitalismo sarebbe lo stesso senza la 1,3,7-trimetilxantina, quell'alcaloide che tiene svegli (e talvolta rovina il sonno), che aiuta la mente (e non solo) anche quando il sole è calato consentendoci quei tour de force richiesti dalla società moderna? E la rivoluzione industriale? Un processo storico «difficile da immaginare senza gli effetti della caffeina». Che ha permesso alla classe operaia di sopportare i lunghi turni di lavoro, le pessime condizioni di lavoro e una fame più o meno costante (il caffè blocca l'appetito). 

Già all'epoca della sua prima diffusione nell'Africa orientale e nella penisola arabica, intorno al XV secolo, veniva utilizzato da alcune popolazioni e dai sufi nello Yemen come una bevanda utile a favorire la concentrazione e a impedire di appisolarsi durante le pratiche religiose. Nel giro di un secolo, migliaia di caffetterie furono aperte in tutto il mondo arabo (la propagazione della religione islamica proibiva di bere vino, sostituito dal caffè): nella sola Costantinopoli, nel 1570, ce n'erano oltre 600. 

Nel Settecento, il consumo di caffè divenne una moda in Inghilterra e in Europa da bere nelle coffee house, dove gli aristocratici si riunivano non solo per degustarlo ma anche per consultare giornali, librie riviste. Ma le conversazioni nei locali londinesi si concentravano troppo sulla politica, tanto da suscitare l'insofferenza del governo e della monarchia restaurata nel 1660. Carlo d'Inghilterra infatti temendo fossero ritrovi di fomentatori di rivolte fece chiudere i caffè nel 1675 per «disturbo della pace del Regno», per riaprirli 11 giorni dopo «per compassione reale». In realtà si rese conto subito dell'inosservanza del divieto. 

E come non ricordare Il Caffè, rivista dei fratelli Pietro e Alessandro Verri nata a Milano e pubblicata dal 1764 al 1766. Oggi a differenza di altre molecole come la morfina (ricavata dal papavero da oppio) o la mescalina (dal peyote), la caffeina (dalle piante della famiglia delle Rubiacee) è legale praticamente dappertutto. In pochi la considerano una droga, né il suo consumo viene inquadrato nei termini clinici di una dipendenza. 

Pollan si è occupato molto dell'impatto psicosociale delle piante che alterano la mente nel suo libro This is your mind on plants: opium-caffeine-mescaline (appena pubblicato dall'editore americano Penguin), dove descrive la caffeina come una sostanza in grado di migliorare le prestazioni psicomotorie e cognitive. 

E cita un esperimento del 2014: i soggetti che bevevano caffè apprendevano nuove informazioni meglio dei soggetti a cui era stato somministrato un placebo. Ma se la caffeina sia uno stimolante per la creatività è un tema ancora in discussione. Il 90 per cento della popolazione adulta americana assume regolarmente caffeina, circa 200 mg di media al giorno. Mentre l'Ue ha uno dei consumi medi annui pro capite più alti al mondo (poco più di 5 chilogrammi di caffè a persona). 

Questi dati, fa notare Pollan, «rendono la caffeina la droga psicoattiva più usata al mondo». Per scrivere il libro, l'esperto americano per tre mesi ha smesso di consumare caffè, in modo da ottenere impressioni personali e dirette sui sintomi dell'astinenza da caffeina. Senza na tazzulella 'e cafè, direbbero a Napoli, si avvertono mal di testa, affaticamento, letargia, difficoltà di concentrazione, diminuzione della motivazione e irritabilità

La prima "dose", la mattina appena svegli, spiega Pollan, è un'esperienza con effetti particolarmente evidenti, non tanto per le proprietà stimolanti della bevanda quanto perché arriva a sopprimere i sintomi emergenti dell'astinenza. Insomma, il meccanismo d'azione della caffeina è talmente sincronizzato con i ritmi del corpo umano che la prima tazzina arriva in tempo per neutralizzare il disagio mentale messo in moto dall'ultima tazzina del giorno precedente.

Pollan racconta: «Senza il caffè mi sentivo come una matita non temperata», avvolto in un torpore «come se nello spazio tra me e la realtà fosse calato un velo». Voltaire sosteneva: «Bevo quaranta caffè al giorno, per essere ben sveglio e pensare, pensare a come combattere i tiranni e gli imbecilli». Chissà se gli sarebbero sufficienti oggi con le due "nobili" categorie sensibilmente in crescita... Il caffè ha scritto pagine distoria, da vino d'Arabia a bevanda del diavolo, da carica del rivoluzionario alla cuccuma e alla moka, fino alle capsule e cialde... 

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