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Parto, l'ultimo delirio femminista: "Mai più, aboliremo le gravidanze"

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Daniela Mastromattei
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Fa bene la ministra Roccella a difendere la famiglia tradizionale «il vero bersaglio della sinistra», che vorrebbe far crollare la paternità e la maternità prendendo «un ovocita da una parte, un gamete maschile da un’altra, e una donna che presti l’utero, ovviamente dietro pagamento». E incrementare così il mercato transnazionale della genitorialità, dove quello che conta non è più la relazione, ma il contratto.

Fa bene la ministra perché il rischio è ancora più alto e inquietante. Infatti si riaccende l’attenzione sulla possibilità tecnologica della riproduzione al di fuori dell’organismo. Quella dell’ectogenesi umana non è (più) solo un’ipotesi fantascientifica stile Matrix, negli ultimi decenni gli sviluppi scientifici in questo campo hanno fatto passi avanti anche con l’obiettivo di aumentare le probabilità di sopravvivenza per i neonti prematuri, sostituendo i classici incubatori con un ambiente in grado di ricreare le condizioni biologiche del ventre materno, dal liquido amniotico al battito cardiaco della madre. L’esperimento (di crescita del feto al di fuori dell’utero) è ben riuscito con un agnellino (pur facendo molto discutere) attraverso una tecnologia ribattezzata biosacca, nel 2017 nell’ospedale pediatrico di Philadelfia, come ricorda Laura Tripaldi nel suo articolo “Maternità senza natura. Presente e futuro dell’ectogenesi tra femminismo e tecnologia” contenuto nel nuovo numero della rivista Calibano, ripreso ieri da La Stampa.

 

La ricercatrice indipendente spiega: «Nel capitalismo neoliberale la gestazione e la maternità sono per molte donne incompatibili con il lavoro e gli studi. Allo stesso tempo, il crescente riconoscimento di nuove forme di famiglia al di fuori della famiglia eterosessuale ci spinge a immaginare nuovi modi – anche assistiti dalla tecnologia – in cui diventare genitori». Insomma l’ectogenesi apparirebbe come «un’opportunità senza precedenti di appianare, una volta per tutte, la disuguaglianza intrinseca al lavoro riproduttivo, delegandolo interamente alla tecnologia». Dunque, niente gravidanze, nasceremo dalle macchine. Separeremo la madre dal figlio... Chissà che esseri umani (umani si fa per dire) usciranno.

Ma eccoci al punto fluido che sta tanto a cuore ai dem: «Forse l’identità di genere come la conosciamo oggi si dissolverebbe del tutto, e con essa anche le disuguaglianze sociali ed economiche che la accompagnano. E se la genitorialità diventasse del tutto svincolata dalla biologia sessuale, anche l’idea che esista una “famiglia naturale” più legittima di tutte le altre potrebbe apparirci un giorno solo come un retaggio del passato», scrive la Tripaldi.

Siamo ben oltre il femminismo che voleva conquistare la parità dei diritti nei rapporti civili, economici, giuridici, politici e sociali rispetto all’uomo. «Il tema dell’ectogenesi ha la capacità di illuminare la complessità delle posizioni femministe. È legittimo domandarci se la nostra percezione della gestazione e della maternità come una limitazione della nostra libertà non sia a sua volta il risultato di una cultura patriarcale e misogina. Allo stesso modo, anche la convinzione che la complessità fisiologica e affettiva della gravidanza possa essere interamente sostituita da un sistema meccanico è estremamente riduttiva, e sembra replicare la visione patriarcale del corpo femminile come un mero “contenitore”». La tecnofemminista canadese Shulamith Firestone era convinta, evidenzia la ricercatrice, che «le bambine nate dagli uteri meccanici sarebbero state allevate dalla comunità, costruendo reti sociali e affettive svincolate dai rapporti di parentela e di sangue.

L’automazione della riproduzione si sarebbe accompagnata anche all’automazione del lavoro, annullando non soltanto le disuguaglianze di genere ma anche quelle di classe». E annullando così «la doppia maledizione, che l’uomo debba guadagnarsi il pane con il sudore della fronte, e che la donna debba partorire con dolore». Critica con la complessità di un tale delirio la filosofa Maureen Sander-Staudt. Lei fa notare che l’utero artificiale ha il potenziale di spostare il significato culturale di gravidanza, nascita e maternità, alienando ulteriormente l’umanità dalla natura.

 

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