Messaggi vocali, fastidio virale: utili o sgradevoli?

di Luca Puccinimartedì 19 agosto 2025
Messaggi vocali, fastidio virale: utili o sgradevoli?

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È un po’ come la panna nella carbonara: lo sappiamo tutti che non ci va, non serve essere chef stellati per conoscere la ricetta originale, però alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non l’ha provata e non ha detto ma-sai-che-comunque... Eresia culinaria a parte, qui la faccenda è seria (lo è anche quella della carbonara, è vero, ma ai fornelli non è ancora intervenuta una sentenza bollata, vidimata e archiviata). I messaggini vocali. Quelle fastidiosissime, irritabilissime, seccantissime micro registrazioni su Whatsapp, condivise in gruppo o in solitaria, per dirsi la qualunque (quasi mai nulla), che arrivano sempre nel momento più sbagliato (sei in ufficio e non vuoi far sentire ai colleghi cosa ti racconta tuo marito, sei al super e non riesci a sentire cosa ti dice tua moglie, sei a casa in panciolle in un raro momento di relax per cui potresti anche tentare di schiacciare play ma non te ne manda nessuno), che partono su un argomento e si perdono tra mille incisi, che anche con la velocità 1,5 o 2 ti fanno imbestialire, che, signori, per carità, facciamola finita, basta.

Dateci tregua. Eppure che continuiamo a mandarci. Sono veloci (e noi siamo pigri). Sono comodi (e noi siamo poltroni). Sono anche un conclamato metodo di molestia che, a Striano, nel Napoletano, è valso una condanna a un mese di carcere (con pena sospesa) per una donna che in poco più di mezz’ora è riuscita a inviarne settanta, dopo una lite e utilizzando il cellulare del figlio. Breve spiegone: è l’agosto del 2021, una famiglia sta discutendo (animatamente) circa un immobile che dovrebbe essere condiviso secondo un rigido schema di turni e che, però, viene momentaneamente usato da un fratello che non aspetta il suo attimo. Lei, la signora, quando torna a casa, acchiappa il telefonino del figlio e inizia a sommergere la cognata di vocali. Uno, due, decine. Minacce, aggressioni verbali, parole che volano come in ogni diverbio tra parenti, rivendicazioni. Dall’altra parte dello smartphone c’è chi si sente sopraffatto e la conversazione (a senso unico) arriva dritta in tribunale. È appunto il foro di Torre Annunziata che stralcia qualsiasi attenuante e condanna la donna dall’invio compulsivo: «Non sussiste», scrivono i giudici sulla decisione, «la lievità dei fatti in ragione della reiterazione della condotta, sebbene nell’ambito di un ristretto arco temporale, che ha dato luogo a un contesto offensivo».

È un caso limite, quello di Striano, ma non è un caso isolato. Ogni giorno, secondo stime abbastanza recenti proprio di Whatsapp, ci mandiamo in tutto il mondo sette miliardi di messaggi vocali: che sono un’enormità, non basterebbe una vita intera per poterli ascoltare tutti, vanno da quelli per il lavoro a quelli tra amici, dall’amante che sussurra intimità le quali vengono immediatamente cancellate (se le scopre il legittimo partner son dolori) ai battibecchi come quelli della famiglia napoletana, ché magari ti fai prendere la mano e manco ci pensi. Il bon-ton è affare d’altri tempi, ma per il futuro è sempre meglio attenersi a qualche regoluccia di buona educazione che non guasta nemmeno tra i messaggini in chat. Il testo scritto è preferibile a quello parlato: primo perché p più conciso, secondo perché è più accurato (o almeno lo dovrebbe essere), terzo perché, a parte il trillo di quando uno lo riceve, lo si legge senza disturbare chi ci sta attorno e, in buona sostanza, rispettando la privacy anche della comunicazione. Il vocale, nove volte su dieci, finisce per diventare un monologo che fa disperdere l’attenzione. Se proprio si è costretti a ricorrere alla registrazione istantanea conviene essere telegrafici, puntuali, non strabordare e ricordarsi che la platea di ascoltatori potrebbe essere più estesa di quella inizialmente prevista. Tra l’altro c’è un ulteriore aspetto da tenere in considerazione: vale per il testo ma a maggior ragione vale per la voce registrata; un messaggio vocale può essere salvato, conservato e utilizzato nell’attimo più (o meno) opportuno. Dato che c’è anche chi non disdegna i messaggini a voce (creature digitali mitologiche, ma esistono sul serio), un’altra buona norma sarebbe quella di accompagnarli ogni volta con due righe di spiegazione le quali possano specificare, tanto per esempio, il grado d’urgenza o la necessità di ottenere una risposta. Non tutti, non subito, possono ascoltarli e il non essere in grado di farlo, lì per lì, potrebbe generare ansia o preoccupazione..