Nel precedente articolo di Etica e Società ho riflettuto sull'antipatia, su quel moto spontaneo che ci porta a prendere le distanze da qualcuno, spesso senza una ragione apparente. Oggi, mi sono posto sul lato opposto della stessa medaglia: la simpatia. Anche questa, come l'antipatia, è una reazione immediata, quasi viscerale. Il termine “simpatia” deriva dal greco sympátheia, a sua volta da sýn (insieme) e páschein (soffrire, sentire). Letteralmente: sentire insieme. E già qui si apre un mondo. La simpatia non è solo piacere o affinità. È quella spinta che ci avvicina perché ci riconosciamo nell'altro. In fondo, è un riconoscimento emotivo di comunanza.
Prendiamo una scena semplice: ogni mattina entriamo nello stesso bar, la barista ci accoglie con un sorriso e ci prepara il cappuccino esattamente “come piace a noi”. Non è solo cortesia commerciale. Se quella barista ci è sim-patica, nel senso pieno del termine, ci sentimo riconosciuto, accolto, quasi attesi. E sarà più facile tornarci, giorno dopo giorno. Questa sensazione è alla base di moltissimi rapporti che definiamo “abituali”, anche se dietro c'è una trama invisibile fatta di riconoscimento, conforto, familiarità. La simpatia, dunque, crea abitudini sociali, agevola le relazioni, ci apre al legame.
PIPPO
Gli intellettuali italiani fanno schifo. Eh, Capezzone, ma quanto è rozza questa generalizzazione. Obiezione acco...Ma attenzione: la simpatia ha anche i suoi lati oscuri. Nel campo della psicologia sociale si parla del cosiddetto “bias da attrazione”: tendiamo a valutare in modo più positivo chi ci è simpatico, anche quando non lo merita. È un pregiudizio emotivo. Così, il collega brillante ma antipatico ci sembra arrogante, mentre l'amico simpatico ma poco competente viene giustificato, scusato, a volte persino premiato. Tendiamo a cercare conferme per ciò che già consideriamo o sentiamo.
Spesso, è l'emotività a guidare il giudizio più della razionalità. Questo pregiudizio nasce da fattori ben noti nella psicologia sociale. La familiarità: più vediamo una persona, più ci è simpatica (effetto esposizione). La bellezza fisica: il fascino estetico altera il giudizio morale, (effetto solo). La competenza: ci piace chi è bravo, ma ancora di più chi è bravo e umile. La reciprocità: apprezziamo chi ci apprezza. La similitudine: chi ci somiglia ci sembra più affidabile. I favorito: ricevere qualcosa da qualcuno genera una predisposizione positiva.
Eppure, non tutto è rose e fiori. Affidarci troppo alla simpatia può essere controproducente. In azienda, può prendere decisioni sbagliate, come assumere il candidato simpatico ma inadatto. Nei rapporti personali, può farci ignorare segnali d'allarme solo perché “quella persona ci è sempre stata simpatica”. In altre parole, la simpatia è un ottimo punto di partenza, ma un pessimo criterio esclusivo. Non basta “sentire insieme”; servire anche “pensare insieme”. Valutare con lucidità, saper guardare oltre il sorriso. In un'epoca in cui le relazioni sono rapide, filtrate, spesso virtuali, la simpatia resta una bussola preziosa. Ma va accompagnata da senso critico, ascolto, discernimento. La simpatia è un ponte —utile, umano, necessario — ma come ogni ponte, va attraversato con consapevolezza. Perché sentire insieme è un dono. Ma insieme capire è una scelta.