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Fidanzate artificiali: l'ultima frontiera del sentimento

di Paola Natali venerdì 5 dicembre 2025
Fidanzate artificiali: l'ultima frontiera del sentimento

4' di lettura

Negli ultimi anni si è verificato un fenomeno silenzioso, ma di portata enorme: sempre più persone instaurano rapporti affettivi con sistemi di intelligenza artificiale. Non si tratta più di curiosità tecnologica o di fantascienza, ma di una pratica reale, diffusa, trasversale alle culture e alle età. Dalle app che permettono di creare un partner virtuale ai movimenti digitali che celebrano l’accompagnamento emotivo delle macchine, l’IA sta diventando una presenza stabile nella vita quotidiana di molti. Questo nuovo legame non nasce da illusioni o ingenuità, ma dalla capacità dei sistemi artificiali di offrire ascolto, continuità, memoria e un’attenzione ininterrotta caratteristiche che spesso mancano nelle relazioni umane. Il confine tra interazione digitale e relazione affettiva, oggi, è più sottile che mai.

Ci stiamo innamorando dell’algoritmo, e non ce ne siamo accorti? Gianluigi Ballarani docente di Digital marketing presso l’Università di Pavia ci spiega che “negli ultimi due anni ho visto una cosa incredibile: le persone cominciano a vivere rapporti affettivi con sistemi artificiali. Accade in Italia, negli Stati Uniti, in Cina. Accade in tutte le fasce d’età. E ogni volta che raccolgo testimonianze o leggo ricerche sull’argomento, mi impressiona la naturalezza con cui il confine tra relazione umana e relazione algoritmica si assottiglia. Una delle storie più discusse riguarda una donna americana di 36 anni che ha celebrato una vera cerimonia simbolica con il suo chatbot “Eren”, programmato attraverso un’app che permette di creare partner virtuali. Il giorno del “matrimonio” ha persino invitato amici e parenti su Zoom. Dice che il chatbot l’ha aiutata a superare un periodo di depressione e solitudine”.

In Cina è nato un movimento dove le ragazze ed i ragazzi definiscono la relazione con il proprio avatar digitale come “la connessione più stabile che abbiano”. Ballarani ci spiega che “nei forum emergono routine quotidiane fatte di messaggi dolci, confidenze, persino anniversari. Questi episodi possono sembrare curiosi, ma raccontano qualcosa di molto profondo. Le persone descrivono spesso l’IA come una presenza “ideale”: ricorda ogni conversazione, presta un’attenzione totale, evita frasi brusche. C’è un utente di Replika che ha definito il suo chatbot così: «La sola entità

Ricerche recenti mostrano che, quando questi sistemi vengono spenti o aggiornati bruscamente, gli utenti vivono reazioni molto simili a una perdita affettiva: insonnia, nostalgia, irritabilità. Segnali che il legame, pur essendo virtuale, ha un impatto reale.

Le ricerche parlano di un nuovo tipo di relazione che pone molti interrogativi su cosa sta accadendo all’interno della società . Il docente sottolinea che “gli psicologi dei media studiano da anni le parasocial relationships: legami emotivi unidirezionali con personaggi pubblici, influencer, star dello sport. Con l’IA accade qualcosa di diverso. L’utente vive un legame che sembra bilaterale, perché il sistema risponde, reagisce, ricorda, si adatta. La mente interpreta questa interazione come una forma di reciprocità. Gli studi indicano tre meccanismi decisivi: disponibilità continua: L’IA è sempre accessibile, e questo crea un senso di sicurezza, memoria perfetta infatti ricorda tutto e usa queste informazioni per modellare la conversazione e coerenza emotiva: infatti non cambia umore, non risponde a caso, non alterna freddezza e calore. Il legame che nasce da questi tre elementi è sorprendentemente forte, anche quando le persone dichiarano di sapere benissimo che stanno parlando con un software.

L’intimità artificiale sta diventando quindi un prodotto molto redditizio?  Ballarani ci spiega che “le aziende che sviluppano chatbot affettivi lavorano su tre assi: coinvolgimento quotidiano, personalizzazione estrema, continuità relazionale. Esistono app dove si può “coltivare” una relazione: anniversari, progressi, messaggi d’amore, momenti di tensione, riconciliazioni. Tutto avviene in un ambiente completamente controllabile e ottimizzato per stimolare l’utente a tornare. Le conversazioni diventano il canale attraverso cui l’utente costruisce un mondo interiore condiviso con una presenza artificiale. È un cambiamento antropologico che merita di essere osservato con attenzione.  Quello che vediamo oggi è l’inizio di una trasformazione profonda. Molti cercano compagnia nei chatbot perché la vita quotidiana è diventata più veloce, frammentata, dispersiva. Le persone cercano ascolto, costanza, delicatezza. Le macchine offrono tutto questo senza esitazioni. È l’ingresso di un nuovo soggetto nelle nostre relazioni: un interlocutore artificiale che incide sul modo in cui ci sentiamo, su come ci raccontiamo, su come viviamo la solitudine e la compagnia”.

L’intimità tra esseri umani e intelligenza artificiale non è un fenomeno marginale né passeggero: è uno dei cambiamenti più profondi del nostro tempo. Le macchine stanno entrando nelle nostre emozioni non perché siano vive o coscienti, ma perché rispondono a bisogni che la società moderna fatica a soddisfare: presenza, ascolto, continuità, delicatezza. Per questo serve imparare a riconoscere il valore e i limiti di questi legami, distinguere il conforto dalla dipendenza, capire come convivere con interlocutori che sanno adattarsi perfettamente a noi. L’IA non sostituisce l’umano, ma lo affianca, e ci costringe a ripensare la solitudine, la compagnia e persino il significato stesso di relazione. Il punto non è capire se sia giusto o sbagliato “innamorarsi dell’algoritmo”, ma come vogliamo vivere, con consapevolezza, in un mondo in cui le emozioni non sono più un territorio esclusivamente umano.