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Pomodoro italiano? Non proprio, il test: ecco cosa finisce davvero sulle nostre tavole

Pomodori

Attilio Barbieri
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Con 110 milioni di chili di pomodoro cinese importato, quest'anno raggiungeremo il record di arrivi di doppio e triplo concentrato dalla Repubblica popolare. E puntuale come sempre, scatta l'allarme di Coldiretti sulla destinazione del semilavorato. L'industria conserviera, altrettanto puntualmente, si giustifica dicendo che i derivati della solanacea rossa made in Cina entrano sì nel nostro Paese ma in regime di «temporanea importazione» per poi essere riesportati all'estero, segnatamente in Africa, sotto forma di «italian tomato sauce». Fingendo di dimenticare l'inganno ai danni dei consumatori africani, resta il sospetto che in realtà non tutto il concentrato cinese venga lavorato e spedito all'estero. Ma c'è una buona notizia. Esiste un test messo a punto dalla Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari, organismo di livello internazionale con sede a Parma, che ha sviluppato un metodo scientifico per individuare la vera origine del pomodoro utilizzato nell'industria conserviera. Si tratti di passata, polpa o concentrato, il test sviluppato a Parma è in grado di individuare il territorio in cui sono stati seminati e sono cresciuti i pomodori, a partire dalla presenza e dalla concentrazione di alcuni metalli come rame, litio o cobalto.

 

 

Una metodica testata per oltre 5 anni dai ricercatori della Stazione sperimentale che nel 2020 l'hanno messa a disposizione delle aziende del settore e delle istituzioni interessate a vario titolo ad accertare la reale origine dei cibi che finiscono sui banconi dei supermercati e poi nel piatto degli italiani. Purtroppo, da allora, è rimasta in utilizzata fino a pochi mesi or sono. Nel frattempo è scoppiato uno dei maggiori scandali nella storia della nostra industria conserviera. I Carabinieri per la tutela agroalimentare hanno effettuato un maxi sequestro di passata presso una grande industria di trasformazione del settore: oltre 4mila tonnellate di falso pomodoro toscano, ottenuto in realtà miscelando il prodotto italiano con quello straniero, intercettati al momento del confezionamento.

 

 

Le cronache riferiscono di vicende in apparenza inspiegabili che avrebbero frenato la diffusione delle analisi. Ricercatori trasferiti ad altro incarico o prepensionati, certificazioni concesse e poi ritirate alla metodica, reagenti indisponibili. Insomma un mix degno di un giallo di Carlo Lucarelli. Di recente la situazione si sarebbe sbloccata tanto che, secondo la ricostruzione fatta da Il Salvagente, a partire da maggio scorso sarebbero stati effettuati una quarantina di test «contro gli zero svolti nei quattro anni precedenti». A richiederli le forze dell'ordine e le catene della grande distribuzione che temono di essere coinvolte in scandali difficilmente evitabili altrimenti, per le conserve di pomodoro vendute con il proprio marchio. Dei risultati ottenuti con questi test non si conosce nulla. Ed è un peccato in ogni caso perché rappresentano l'occasione per confermare o fugare i dubbi sulla provenienza di passate, sughi e concentrati in vendita nei supermercati dello Stivale. Visto soprattutto che l'import di derivati del pomodoro made in Cina è cresciuto in un anno del 93%

 

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