Il delitto è che la cassoeula si sta perdendo. Un delitto figlio dei tempi e del territorio. Nota per profani: la cassoeula è uno zuppone, piatto milanese per eccellenza. Gli ingredienti sono il maiale (tutto) e la verza. Il maiale (tutto) perché non si scarta nulla: nel pentolone navigano piedini di porco, orecchie, il codino e la cotenna, poi costine e verzini, salsicciotti tipici della Lombardia. Tutte le parti meno nobili del suino (la dicitura “meno nobili” è una convenzione stupida). La cassoeula è una prelibatezza ma servono pazienza e abilità: se malfatta è una fetecchia, un po’ come la trippa (eccellente se impeccabile, immangiabile in tutti gli altri casi). Veniamo a ciò che mi sta a cuore, al delitto figlio dei tempi e del territorio, ovvero Milano. Per cucinare la cassoeula ci vogliono sei ore buone. Puzza, è un piatto povero, picchia sullo stomaco come un martello, è grassa e viscosa. E nel piatto come detto spuntano piedini e musini. Milano è la città in cui sei ore non le ha nessuno. A Milano non puoi puzzare e si consumano “colazioni leggere”, alias pranzi inutili.
Gnocchi, origine ignota e carattere unico
Lo gnocco è storia recente: in Italia (siamo al Nord) sbarca solo tra XVIII e XIX secolo. Forse per questo si por...Milano pullula di ristoranti vegani e di vegetariani proselitisti che alla vista del piedino rischierebbero colpi apoplettici. A Milano i poveri esistono ma fingono di non esserlo e chi non finge non è milanese, spesso neppure italiano (dunque: cassoeula chi?). Questo è l’impianto socio-culturale che determina l’imperdonabile delitto di cui anche io, milanese, sono complice: la venero, ma la cassoeula l’ho cucinata una sola volta e con risultati rivedibili. Tant’è, la merce più rara è la pazienza: le verze sono da raccogliersi a ridosso della prima gelata, più tenere e dolci.
I tagli del maiale vanno sbollentati per eliminare porzioni di grasso, poi cotti lentamente in una casseruola con soffritto di cipolla, sedano e carote. Dunque vino bianco, verza e attesa: si lascia stufare fino ad ottenere una consistenza «tacchenta», appiccicosa. «La cassouela l’ha da vess ben tacchenta e minga sbrodolada e sbrodolenta» (deve essere appiccicosa, non brodosa né liquida). Leggenda narra che la prima cassoeula fu cucinata all’epoca della dominazione spagnola da un soldato iberico innamorato di una cuoca milanese al servizio di una famiglia nobile. La realtà è più lineare: i nobili c’entrano solo perché scartavano le parti povere del porco lasciandole ai contadini, che le assemblarono con la verza. La cassoeula, sapore viscerale, incarna la natura bestiale dell’uomo nella più profonda delle accezioni. È simbolo di resilienza. In un’epoca in cui ci si affanna a nascondere la nostra nobile natura bestiale, sciaguratamente, la cassoeula è destinata all’oblio.