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Quando Giorgio Napolitano era negazionista e celebrava la Rivoluzione d'Ottobre

Andrea Tempestini
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Si chiamano «negazionisti» quanti negano l'esistenza stessa della strategia di sterminio, che ha accompagnato l'incubo ideologico del XX secolo. Fra loro ci sono storici, dirigenti politici e invasati vari. Come vedremo, ci sono negazionisti assai altolocati, speranzosi che le amnesie collettive cancellino le loro (vergognose) negazioni. Silvio Berlusconi ha completamente sbagliato bersaglio. Se la poteva risparmiare. Non condivido, ma capisco il senso della chiamata semplificatrice, ciò non toglie che riferirsi ai «tedeschi», in modo così generico, è un errore inammissibile. Tanto più che è inglese lo storico capofila dei negazionisti, David Irving. Mentre risale al 1970 il gesto dell'allora cancelliere tedesco, Willy Brandt, che si inginocchiò presso il ghetto di Varsavia. È vero, comunque, che dopo la riunificazione tedesca emersero sacche di giovani filo-nazisti, conservati come in una goccia d'ambra nella Germania comunista. Privi di libertà e schiavizzati dai sovietici immaginarono che il loro recente passato fosse migliore. In alcuni Paesi il negazionismo è considerato reato. Contro tali leggi ho qui scritto, perché l'infamia culturale e la corruzione della memoria non si combattono nei tribunali. La memoria, appunto. E l'uso politico della menzogna storica. C'è chi ha scritto, per contestare l'eroica testimonianza di Aleksandr Solženicyn, che «non possono inserirsi in una ricerca onesta e fruttuosa le tendenze, che sull'onda dell'ultimo libro di Solgenitsyn si vanno diffondendo, ad attribuire sommariamente a Lenin la responsabilità delle deformazioni e dei guasti della politica staliniana». Invece era ricerca non solo onesta, ma vera. I campi di sterminio sovietici nacquero prima di quelli nazisti, ad opera di Vladimir Il'ic Ul'janov, detto Lenin. Solženicyn lo chiamò Arcipelago Gulag, la «g» sta, in russo, per «lagerej»: lager. Forse ne avete sentito parlare. E c'è un ceppo comune, fra i lagerej sovietici e i lager nazisti: l'idea che quanti s'opponevano alla costruzione del regime perfetto, quanti erano diversi dall'uomo nuovo, e fra questi gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, dovessero essere cancellati dalla faccia della terra. Nei lagerej non ci furono le camere a gas, perché non servivano. I sovietici non avevano fretta, avevano tempo, e nei lagerej siberiani ne uccideva più la fame e il gelo di quanti potessero smaltirne i forni. In questo bilancio infernale vincono i sovietici, che continuarono a lungo, dopo che i nazisti erano stati cancellati. L'autore delle parole citate, come di quelle che seguono, dileggiava il letterato russo, che era stato a lungo rinchiuso nei lager, nei campi di lavoro forzato, e che poi, grazie a una mobilitazione mondiale, era stato espulso dall'Urss. Lo dileggiava scrivendo che si era dedicato allo «shopping» per le vie di Zurigo, usando le «cospicue somme da lui accumulate, grazie ai diritti d'autore, nelle banche svizzere». Che raffinatezza! Condannandone le «rappresentazioni unilaterali e tendenziose della realtà dell'URSS, le accuse arbitrarie, i tentativi di negare l'immensa portata liberatrice della Rivoluzione (maiuscolo n.d.r.) d'ottobre, lo straordinario bilancio di trasformazioni e di successi del regime socialista», ed «è questa negazione, fattasi via via sempre più cieca, che ha segnato la condanna di un'opera come quella di Solgenitsyn». Precisando che «del tutto fuorvianti, infine - oltre che manifestamente contrarie agli interessi supremi della pace - vanno considerate le posizioni di quanti vorrebbero “imporre” una “liberalizzazione” all'interno dell'URSS subordinando in modo inammissibile lo sviluppo del processo di distensione a non si sa quali mutamenti del regime politico e dell'ordinamento giuridico sovietico». Dunque, riassumendo, qui c'è il negazionismo del sistema concentrazionario e sterminatore del comunismo sovietico, l'esaltazione del valore positivo e liberatorio della rivoluzione comunista, l'avversione alle riforme di quel sistema, che, ove richieste, oltre tutto, avrebbero messo in pericolo la pace. Una grande e nobile pace, che di lì a pochi anni ci regalò lo schieramento dei missili nucleari SS20 puntati contro le nostre città. Cui l'Europa libera e democratica reagì accettando lo schieramento dei missili occidentali, destinati a contrastare quella minaccia. Decisione che ebbe la forza d'imporsi, in Italia, grazie a Bettino Craxi e Giovanni Spadolini e, in Germania, grazie a Helmut Schmidt. Fu la sinistra democratica europea a rispondere contro quell'eccesso di pace, mentre l'autore di quei giudizi, come tutti (dicasi tutti) i suoi compagni di partito montarono una durissima campagna d'opposizione. Ricevettero anche un telegramma di congratulazioni, firmato da Leonid Brežnev. Mentre i soldi sovietici, sporchi di sangue e in valuta statunitense, li ricevevano prima, durante e dopo, fino almeno al 1991. Molte di quelle mazzette andarono a cambiarle presso lo Ior, in Vaticano. Io devo essermi distratto, negli ultimi anni, ma, nel mentre si riscoprivano tutti europeisti, occidentalisti e liberali, mi sono sfuggite le scuse per questa storia vergognosa. E per chi avesse poca memoria, aggiungo il nome di chi quei pensieri concepì e scrisse: Giorgio Napolitano. È un articolo pubblicato dall'Unità, il 20 febbraio del 1974. Aveva 49 anni, non era un indottrinato bimbo vittima della propaganda, era un dirigente politico piuttosto maturo e, forse, consapevole. Mi espongo a qualche rischio, scrivendolo? Poco me ne cale. Oltraggio la figura del presidente della Repubblica? Non credo proprio. Semmai contrasto il continuo oltraggio alla memoria, alla storia, all'onestà intellettuale. Tutti noi abbiamo diritto di cambiare idea (a me non capita, sono monotono e non ho di che vergognarmi), tutti noi possiamo cadere in errori, anche colossali. Ma si ha il dovere di dirlo, di ripeterlo, di ricordarlo. E si chiede scusa. A me non pare che lo si sia fatto, mentre vedo che si tende a dar lezioni con il medesimo piglio, magari saliti su opposti pulpiti. di Davide Giacalone www.davidegiacalone.it

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