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Giacomo Celentano: la mia vita tra poveri

Lucia Esposito
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Giacomo Celentano, facciamoci subito gli affari suoi. Passerà il Natale in famiglia? Inteso con papà Adriano, mamma Claudia e le sorelle Rosita e Rosalinda? «Sì, ma prima c'è un appuntamento importante con un'altra famiglia. Quella dei City Angels. Il 24 mattina parteciperò alla festa per i senzatetto della Stazione Centrale». Da quanto tempo fa il volontario? Due anni fa chiedo all'amico Mario Furlan, presidente dei City Angels: “Quando mi fai cantare in qualcuna delle tue manifestazioni?”. Mi dice: “Vieni per Natale in stazione”. Detto fatto, esperienza fantastica. Da quel momento sono diventato un ausiliario. Il mio nome in codice è “Semola”, come il ragazzino de “La spada nella roccia”». Cosa fa? «Almeno una volta al mese vado in sede a preparare panini che poi distribuiamo ai poveri in Cadorna». Mai successo di essere riconosciuto? «Una volta. Un senzatetto mi fissa: “Io ti ho già visto... Ah, sì, alla Messa dei poveri in via Farini!”». Ops, in realtà la domanda era riferita alla sua fama da cantante e scrittore e figlio d'arte. «Scusi, non avevo capito. Sa, non tengo particolarmente all'apparire». Dicevamo di musica a scrittura: è da poco uscito il suo secondo libro dal titolo “Nel nome del padre”. «L'idea è nata per affrontare l'argomento della figura paterna in crisi. Oggi si pensa che una famiglia possa essere costituita anche solo da mamma e figli. No, io sono per la famiglia tradizionale unita nel matrimonio, con mamma, papà e bambini». E cosa pensa allora della convivenza, delle coppie di fatto, delle unioni omosessuali? «Sono solo surrogati». Torniamo al libro. Lei racconta il rapporto con suo padre, poi quello con suo figlio e quello con Dio Padre. Che ricordi ha di papà Adriano Celentano? «Bellissimi. Lui teneva soprattutto al rito del pasto familiare. Voleva che tutta la famiglia si ritrovasse insieme soprattutto a cena, per confrontarsi». Perché ride? «Beh, io e Rosalinda, bambini impazienti, ci alzavamo da tavola appena finito il pasto e papà se ne risentiva molto». Che rapporto ha invece, ora, con suo figlio Samuele di 10 anni? «Vorrei proteggerlo dalla superficialità dilagante. Vorrei che lui, nel crescere, conservasse un occhio critico nei confronti del mondo che lo circonda». Giacomo, lei parla molto di religione. Anche nel libro. «La fede mi ha aiutato a guarire». Già, le va di parlarne? «Nel '90, una notte, non respiro più. Sensazione di morire, attacco di panico. Da quel momento è sempre peggio, non ho forze, sembro un vecchio di 90 anni. Gli esami dicono che non ho niente, ma sto male, non mi muovo, sembro un vegetale». Ansia? «Sì, passo il tempo davanti alla tv. La famiglia mi isola, resto solo. Ma io ringrazierò sempre Gesù che mi ha mandato questa malattia». Perché scusi? «Mi ha fatto tornare tra le braccia del Padre celeste. Mi ha fatto tornare alla fede». Quando si era allontanato? «Dopo il militare. Ero un vero figlio di papà, superficiale nella Milano anni Ottanta». Non dica che era un paninaro. «Nooo, papà mi avrebbe cacciato di casa». Vero che durante la malattia ha pensato di farsi frate? «Ho intrapreso un cammino vocazionale con Padre Emilio, volevo andare in convento. Lui, però, mi ha fatto capire che la mia non era una vera vocazione». Quando ha capito di essere definitivamente guarito dall'ansia? «Nel '96 papà mi propone di andare a Lourdes con lui e con mamma. Accetto. Quando sono là mi raccolgo in preghiera e chiedo alla Madonna di riuscire a realizzarmi nella vita. E la malattia sparisce nel momento in cui mi riavvicino ai sacramenti». Detta così sembra quasi un miracolo. «Lo è. È una delle grazie che ho ricevuto dal Signore e da Maria. E non è tutto. Oltre a guarire, dopo un anno ho conosciuto anche Katia». Con la quale si è sposato dopo 5 anni di castità. «Non ci siamo mai pentiti di quella scelta, la castità è un valore da riscoprire». Giacomo, abbiamo parlato di rapporti tra padre e figlio. Ma i rapporti tra nonni e nipote invece come sono? «Fantastici. Papà e Samuele si divertono un sacco, vanno a fare lunghe passeggiate e dico sempre che quando sono insieme è difficile capire chi dei due è più bambino». Scusi, perché sorride? «Perché mamma non vuole farsi chiamare nonna. E dice a mio figlio: “Chiamami solo Claudia, non nonna Claudia, altrimenti non rispondo”. Ma lui non ci sente». A Natale starete tutti insieme? «Sì, faremo la cena della vigilia a casa di Rosita. Il 25 invece andremo da mia suocera». Alessandro Dell'Orto

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