Piero Chiambretti, la sfida a Mediaset: "Grandi ascolti con Matrix? Ora voglio più spazio"
Qualcuno ha rubato l'identità sui social a Piero Chiambretti, ma lui rimane unico e inimitabile in quel suo «metro e un barattolo» di ironia, intelligenza e indiscusso successo. Un successo che lo segue ovunque vada, qualunque cosa faccia. Il pubblico lo ama e «sta su» di notte per guardare i suoi programmi. Mai scontati, noiosi o uguali a se stessi. Oggi si conclude l'avventura del suo Matrix Chiambretti. Un'avventura breve, che ha però lasciato il segno. Con ascolti davvero eccellenti. Chiambretti, partiamo dal suo nuovo grande successo. «Il successo è una parola assolutamente relativa, perché può durare il tempo di un ascolto. Non c'è nulla di più precario, in tv come nella vita». Ma è soddisfatto dei risultati? «Certo! Partivamo senza il favore dei pronostici e con una nuova collocazione. Il risultato si può considerare miracoloso». Il suo genio è paragonabile a quello di Bonolis e di Fiorello. Cosa ha di loro? «Siamo tutti pezzi unici. Ognuno fa la sua tv, anche se siamo della stessa generazione televisiva, che è nata 20 anni fa e non ha avuto sostituti: quelli che sono venuti dopo non sono all'altezza dei nomi citati. Leggi anche: "C'è un figlio di putt*** che...": Chiambretti lancia l'allarme Quindi lei al momento non vede un suo erede... «A parte che nessuno vede mai l'erede di nessuno, anche perché c'è la preoccupazione di vedere in lui la propria fine, io non lo vedo, perché sono cresciuto con un'altra televisione, un altro scenario politico, altri referenti, altri presupposti. Non credo ci sia nulla che mi leghi a questi contemporanei». Ha dichiarato di sentirsi più vicino ad Arbore, Boncompagni, Ricci; cosa sente di avere in comune con loro? «Boncompagni, Villaggio e Arbore, pur contemporanei, sono stati decisivi per la mia formazione. Prima li guardavo, poi ci ho anche lavorato. Ma ognuno di noi ha una propria identità molto precisa che non ritrova negli altri». Il 31 dicembre scade il contratto con Mediaset... «Veramente dovrebbe scadere ogni dieci giorni, perché la data viene cambiata a seconda se piove o c'è il sole; dovrei rimanere qui, da contratto, ufficialmente sino al giugno del prossimo anno. L'idea mia era di fare come certi allenatori, fare una stagione e poi vedere se vale la pena per tutti continuare. Sono qui da 8-9 anni, quindi direi che ne sia valsa la pena». Ora cosa si aspetta? «Adesso c'è bisogno di uno scossone, vorrei giocare delle partite più sovente. Quello che aspetto dall'azienda è un mio rilancio, una mia maggiore presenza in video». Ha un'idea di quello che vorrebbe fare? «Il problema non è tanto l'idea, ce ne sarebbe anche più di una, ci vuole il coraggio di interpretarla in una giungla come la tv commerciale, che ha come unico referente l'ascolto. Rispetto tantissimo il discorso degli ascolti, ma forse oggi, visto che Canale 5 e Rai 1 sono fortemente legate dall'obiettivo del popular, bisognerebbe dare più spazio ad altre proposte almeno sulle reti delle due aziende che vanno in parallelo. Se non su Canale 5, spero mi collocheranno su Italia 1 o Rete 4. In quale collocazione si immagina? «Sarebbe stimolante un preserale strutturato, ma non dovrebbe essere un quiz; anche la seconda serata continua a essere un fiore all'occhiello di una linea editoriale, ma visto che ho superato gli “anta” da tanti anni e non mi fa paura nulla... si potrebbe andare dritti per dritti in prima serata. Un bilancio della sua carriera in Mediaset? «È stata una cavalcata a ostacoli, il cavallo era importante, il fantino anche, insieme abbiamo vinto dei gran premi. Poi ogni tanto siamo caduti al primo ostacolo, ma non abbiamo abbattuto né il fantino né il cavallo». Che professionista è? «Un gran lavoratore, instancabile. Mi potrei definire una d'Urso con i jeans o i mocassini». Cosa arriva al pubblico di Piero Chiambretti? «Credo che il pubblico mi riconosca una coerenza stilistica; anche laddove ho fatto delle scelte come quella di venire a Mediaset, dopo lo scetticismo iniziale, con un programma come il Chiambretti Night, che è entrato, credo, nella storia della televisione. Non ho tradito nessuno, la Rai mi ha cacciato e io sono andato dove mi hanno fatto lavorare». Cosa le è rimasto del Chiambretti degli esordi e cosa eventualmente rimpiange? «Non rimpiango praticamente nulla, però sono un nostalgico, quindi rimpiango un periodo, cioè gli anni 90 perché sono stati gli anni forse più interessanti dopo quelli degli esordi della tv in Italia. Sono stati anni in cui sono usciti personaggi, modelli, programmi che ancora oggi vengono replicati, ora lo scenario è esattamente opposto, si cerca di non rischiare per non sbagliare». Oggi è più facile o più difficile fare televisione? «È più facile perché non devi inventare quasi più niente, più difficile perché la concorrenza è ovunque». Se Claudio Baglioni dovesse chiamarla per fare il Festival di Sanremo accetterebbe? «Avevo detto, poi rimangiandomi la battuta, che il Festival si dovrebbe fare una volta sola come il servizio militare. Penso di non poter essere utile alla causa perché c'è la coda come alla mutua di quelli che lo vogliono fare, ma non sono dei singoli, sono dei gruppi e arrivarci da solo e solo con la mia capacità mi sembra oggi fantascienza. Poi, mai dire mai...» di Silvia Tironi