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Katiuscia, l'icona degli anni Settanta: "Ho bruciato tutto in droga. Quel giorno in cui Montezemolo...". Tutta la verità, intervista-choc

Alessandra Menzani
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Negli anni Settanta era la ragazzina dei fotoromanzi, un genere tutto italiano che è tornato in auge e in edicola con Sogno di Sprea Editore. Katiuscia era il suo nome d'arte: Caterina Piretti, oggi 63 anni, padre bolognese e madre albanese, ha conosciuto a 15 anni la fama, i soldi, ma anche le droghe pesanti. Nella sua autobiografia racconta la vita spericolata, quella volta che percorse la Via Del Mare contromano strafatta, quando il suo appartamento andò in fiamme a causa di una sigaretta spenta male, ma anche l'amore del figlio che l'ha salvata, la comunità di recupero, la vita normale e la serenità ritrovata. Con Libero l'ex fotomodella parla senza filtri.

Cosa ricorda degli anni dei fotoromanzi che l'hanno lanciata?
«Un periodo intenso, bellissimo. Eravamo una bella squadra, sempre le stesse persone, una famiglia. È stato un grandissimo successo inaspettato».

Nella sua biografia parlava di guadagni pazzeschi: 250milioni di vecchie lire all'anno, 20 milioni che spendeva ogni mese. Conferma?
«Guadagnavo veramente un sacco di soldi. Eravamo, in fin dei conti, i personaggi famosi pop. Prendevamo tanto e facevamo guadagnare tanto».

Era un po' la Chiara Ferragni dell'epoca?
«In effetti... C'ero solo io famosa, avevo 15 anni. Le ragazzine si rifacevano al mio modo di essere. Non ero la più bella, ero trasgressiva ma non ero bambocciona».

La trasgressione è andata oltre: è stata drogata ed eroinomane parecchi anni.
«Ne ho parlato nel libro che ho scritto per i giovani e per i genitori. Si finisce all'inferno ma da tutto si può uscire. Il successo è una doppia arma, non si deve rincorrere per forza».

Ma lei perché si drogava?
«Sono stata sempre molto curiosa e spregiudicata. Le due cose insieme sono una bomba a mano. Ho sperimentato tanto. Poi sono arrivata a un bivio: o andavo in India a finire la mia vita drogandomi o smettevo completamente. Ho scelto la seconda, anche perché avevo una motivazione fortissima: mio figlio, che all'epoca aveva sei anni. Non era scontato. Forse bisogna sempre toccare il fondo per risalire. Ah, poi c'è il buddismo, che mi dà un forte equilibrio».

Quanto tempo è stata in comunità?
«Sono andata in Sicilia nella struttura messa su da Mauro Rostagno. Ci sono stata tre anni e mezzo come malata, poi ho deciso di rimanere. Mi hanno affidato la comunità, ho fatto un percorso di due anni come responsabile e il cerchio si è chiuso. Era il 1989».

Ci racconta l'episodio di Luca Cordero di Montezemolo che le prestò cento dollari per sopravvivere?
«Eravamo in vacanza alle Maldive, ci siamo incontrati per caso. Lui era con la moglie e io con mio marito. Eravamo in un'isola sperduta e poi ci siamo ritrovati nell'aeroporto di Malè tutti quanti perché stavamo scappando: le Maldive erano una noia pazzesca. A Ceylon (Sri Lanka) ci siamo ammazzati dal divertimento e io e mio marito ci siamo trovati senza soldi. Lui voleva viaggiare da fricchettone, zero carta di credito, non sapevamo a gestire i soldi. Per fortuna Montezemolo ci ha prestato qualche dollaro».

Oggi lei come si guadagna da vivere?
«La mia vita pre-Covid, che spero ritorni presto, consiste nel fare fiere del fumetto, dove vendo quadri e stampe. Giro tutta l'Italia. E poi ho un negozio a Lucca in cui vendo bicchieri».

Nel nuovo Sogno, in edicola dal 24 luglio con le storie d'amore che avevano incantato gli italiani e lanciato volti come Ornella Muti, Sophia Loren e Franco Gasparri, che ruolo avrà?
«Il progetto mi è piaciuto da subito. Mario Sprea era lo sceneggiatore ed editore dei fotoromanzi all'epoca. Avrò una mia rubrica in cui posso scrivere di tutto, liberamente: ho carta bianca».

La televisione le interessa? «Nemmeno un po'. Né all'epoca né oggi. Sono stata in qualche programma solo per sponsorizzare il mio libro». Ha qualche rimpianto? «Né rimpianti né rimorsi. Anche le cose sbagliatissime che ho fatto fanno parte di un percorso. Sono quella che sono grazie a tutti gli errori che ho fatto».

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