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Raffaella Carrà, "intitolatele il ddl Zan": sinistra senza ritegno, la campagna subito dopo la morte

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La Carrà, in vista del suo settantesimo compleanno

Filippo Facci
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Uno magari si sforza una vita per divenire un'icona gay (ognuno ha le sue propensioni) e poi non ci riesce: altri, come Raffaella Carrà, lo sono diventate in tutto il mondo e non sanno neanche perché. Tanto che, in un'intervista concessa a Massimo Gramellini per il corriere.it (30 giugno 2017), la compianta Raffaella se lo chiedeva: «Morirò senza saperlo. Sulla tomba lascerò scritto: "Perché sono piaciuta tanto ai gay?"». La Carrà, quell'anno, era divenuta madrina del World Pride e appunto si confermava icona planetaria: «L'ho chiesto a un amico gay, direttore di una rivista in lingua spagnola: "Que te gusta de mi persona?". Lui mi ha guardato come se fossi una torta al cioccolato: "Todo"». Bene, meglio per tutti: il che non autorizza, ora, a imbracciane la sua salma per trasformarla nella madrina della legge contro l'omotransfobia, quella che tanto infiamma il Parlamento (solo il Parlamento) e che ha suggerito a qualche necrofilo di ribattezzare «Ddl Carrà» il moribondo «Ddl Zan». Dove, quando, chi l'ha proposto? Basta un refolo su twitter, di questi tempi: «Direi di chiamarlo Ddl Carrà, approvarlo e fine del discorso» ha scritto lo sceneggiatore Enrico Cibelli (non lo conosciamo, confessiamo) raccogliendo subito moltissime adesioni, compresi «personaggi del mondo dello spettacolo come Ermal Meta», pare, che si dice «totalmente d'accordo». Ermal Meta è una cantautore albanese naturalizzato italiano ed ha 40 anni, lo dice wikipedia.

 

 

TEMPISMO
Insomma: la Carrà è morta da poche ore, e il giorno dopo, ossia ieri, al Senato è cominciata la battaglia sul Ddl Zan già approvato alla Camera (coi voti di Partito Democratico, Cinque Stelle, Liberi e Uguali e Italia Viva) anche se adesso le cose sembrano cambiate, perché Matteo Renzi ha chiesto di approvare un testo più condiviso anche dalla destra: e senza i suoi voti la legge non passerà. Ora non sappiamo quante siano le «tantissime adesioni online» di cui si apprendeva ieri a margine del neo «Ddl Carrà», ma che l'iniziativa suoni come una porcata non c'è il minimo dubbio: le iene maculate, prima di un avventarsi su un cadavere, in genere aspettano un po' di più. Oltretutto non mancano intellettuali veri (non cantanti e sceneggiatori dell'ultim' ora) che sul tema e sull'«icona» palesano qualche dubbio: «C'era l'abitudine pop», ha scritto Fulvio Abbate sul Riformista, «di attribuire al suo ombelico un valore rivoluzionario nel costume addirittura politico e antropologico... Se un ruolo quell'ombelico ha avuto, si è trattato semmai di un dato riferibile all'ambito periferico della televisione dorotea di Ettore Bernabei. Non era insomma la Rosa Luxemburg della prima rete... Anni fa una ragazza lesbica mi raccontò il suo sogno d'essere adottata proprio dalla Carrà... Forse, una parola in più per i diritti del popolo Lgbt, Raffaella, avrebbe potuto spenderla».

 

 

APPROPRIAZIONE
Non era solo oro quel caschetto che riluceva, insomma. Opinioni, beninteso: ma proprio perché le opinioni sono tante e diverse, non possono trasformarsi nell'appropriazione indebita di un simbolo nazionale per vincolarlo e incatenarlo a un simbolo solo, e neppure sappiamo quanto da lei condiviso. Con tutto quel che Raffaella Carrà ha combinato in Italia e nel mondo per una sessantina d'anni, culminare in un disegno di legge per punire con il carcere sino a quattro anni i reati motivati da «stigma sessuale, in particolar modo nei confronti delle persone omosessuali e transessuali», forse, non rappresentava proprio l'ultimo desiderio. Un conto è intitolarle gli studi della Rai di via Teulada (proposta del paroliere Mogol) e un altro è intestarle una legge-manifesto imbalsamata da una sinistra in cerca di identità: oltreché inopportuna, la proposta è proprio di cattivo gusto funerario. È morta Raffaella Carrà e si vuole intitolarle una legge che sta per morire. Non si fa.

 

 

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