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Totti e Blasi si separano? La vergogna su "Repubblica": sul quotidiano di oggi...

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Gianluca Veneziani
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Ma cosa diavolo avrà da festeggiare Natalia Aspesi, la firma di Repubblica e penna storica del giornalismo rosa e rosso, al sentire dell'addio tra Totti e Ilary? Sarà mica soddisfazione sadica per l'infelicità altrui, sarà mica interesse verso il Pupone ormai libero da vincolo coniugale? No, si tratta piuttosto di felicitazione per l'ennesimo colpo al modello della famiglia tradizionale e per il trionfo della liquidità e precarietà dei rapporti, per la rivincita dell'individualismo contro la «prigione» dell'unione coniugale; un'Allegria di Naufragi perché la Famiglia è finita, andate in pace. Godimento ideologico, "politico", insomma, e perciò ancor più fastidioso.

 

 

Avvertivi proprio un disagio fisico nel leggere l'attacco del suo pezzo di ieri su Repubblica che esordiva con un «Finalmente una buona notizia!
», in merito alla rottura di quel matrimonio. Cosa ci sarà di buono nell'immagine di una coppia che si sfalda, di due persone che con sofferenza prendono strade diverse e nella sorte di tre figli che si trovano ad affrontare la separazione dei genitori? Ce lo spiega la Aspesi che, preferendo in modo "diabolico" (dal greco dià-ballo, dividere) la divisione all'unione, definisce «la separazione dei due amabili divi molto rasserenante». A rasserenarla è il fatto che «una coppia tradizionale, niente di moderno, composta da tre figli, dopo 17 annidi matrimonio» ce la faccia «ad uscire dalla prigione dei doveri della celebrità e dalla fallace promessa del per sempre» e riesca «a prendere una decisione impopolare, segno di un privato fallimento, ma anche di scelta di normalità, quindi di libertà». La morale è che, solo quando ci si lascia e si sfascia una famiglia si diventa moderni, à la page e si smette di essere tradizionali, retrogradi, stantii. La seconda morale è che, per la Aspesi, la separazione è l'unico vero atto di libertà, essendo il matrimonio di per sé un carcere: in «tutte le famiglie che si formano per amore», pontifica lei, «poi il tempo quell'amore lo spegne, lo fa diventare una prigione, per l'uno, per l'altra, per tutti e due».

 

 

Facile ricordare alla Aspesi quanto il suo assunto sia falso in generale, dal momento che esistono milioni di coppie e famiglie felici in cui il matrimonio non è un gabbia ma al contrario espressione somma di libertà: ché spesso sono le radici, i legami a renderci liberi, e non la loro assenza. Così come è facile ricordarle che sorte ineluttabile di due sposi, famosi e non, non è il fallimento dell'amore, perché un matrimonio non è solo promessa zuccherosa di fiaba destinata a finire, ma è impegno e assunzione di responsabilità, e tante coppie riescono a viverlo in questa pienezza, profondità e durata. Ma soprattutto è urgente far presente alla Aspesi quanto la sua tesi sia irrispettosa in particolare. Chi è lei per esultare della fine dell'amore altrui? Che ne sa lei dei patimenti e delle difficoltà che stanno vivendo Francesco e Ilary? Lasciamo dire a loro se la fine del matrimonio sia «una buona notizia» o sia piuttosto un passaggio a vuoto, uno strappo che lascerà cicatrici e comunque qualcosa da non festeggiare, a mo' di Peppino Di Capri in Champagne. Che siano gli amanti a custodire l'amore, anche quando è finito. Lo faceva Leopardi in Aspasia, che di amore ne capiva di più della Aspesi. 

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