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Spot Esselunga, schiaffo di Carlo Conti alla sinistra: "Pensiamo a cose serie"

Hoara Borselli
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Classe 1961, Carlo Conti è il Re Mida della Tv di Stato, ogni programma che tocca diventa oro. Successi, record di ascolti. Ironico, gentile, mai invadente. Punta di diamante della Rai, con il suo Tale e Quale Show sta macinando record di ascolti. Una storia di televisione e inossidabile amicizia con gli amici di sempre Giorgio Panariello e Leonardo Pieraccioni. Oggi si racconta a Libero.

Ciao Carlo, voglio andare soprattutto sul successo del programma: è un programma trasversale, da anni piace a tutti, quindi voglio capire da te qual è l’elemento, la formula...
«Guarda io ho sempre cercato di tenerlo al passo con l’evoluzione del gusto, con la leggerezza soprattutto. Ho cercato di fare un programma per le famiglie. La cosa più difficile oggi è mettere davanti al televisore il maggior numero di componenti della famiglia. I gusti sono spesso diversi tra padri, madri, figli. Quindi non bisogna aver paura di affiancare Harry Stylese poi magari Édith Piaf,Gigliola Cinquetti, e passare da Marco Mengoni a Nicola di Bari. Tutto con una sola filosofia: leggerezza, divertimento, professionalità. C’è sempre un mix tra competenza e goliardia».

La giuria ha un grande peso nel programma.
«In queste ultime edizioni ho spinto molto su questo, aggiungendo anche il colore di Malgioglio, la professionalità di Loretta e quella di Giorgio. La gara però è l’ultima delle cose, non c’è mai lo scontro con la giuria».

Tu non cerchi mai la polemica.
«Esatto. Perché non è nel mio stile. Non mi piacciono i programmi dove si forza la polemica».

Qual è il tuo obiettivo quando si accende la lucina rossa?
«Poter regalare due ore di svago dopo una settimana di lavoro e fatica, di studio per gli studenti, di scuola per i bambini».

Carlo, è tantissimi anni che fai televisione. Come è cambiata?
«Il cambiamento degli ultimi tempi, accelerato da due anni di pandemia, è che chi guarda la tv si fa da solo il palinsesto. Ognuno di noi si fa il proprio: io so che se voglio vedere una partita ce l’ho, tu sai che se vuoi vedere un film giallo ce l’hai. Se mio figlio vuole vedere un cartone animato lo trova a qualsiasi ora. E quindi siamo passati da un palinsesto che subivamo a un palinsesto su misura. A nostra misura».

Secondo te dare più offerta migliora la qualità o la peggiora?
«Sicuramente la migliora perché c’è più varietà: è giusto che ognuno possa scegliere quello che vuole. La pluralità di tanti giornali come di tante radio è sempre positiva. Anche in tv è così. Anche se poi devi stare attento a scegliere. Devi guardarti dalle scemenze, dalle fake news».

Ci racconti della tua straordinaria amicizia con Pieraccioni e Panariello? Partiamo da Leonardo. Come vi siete conosciuti?
«Ho conosciuto Leonardo la prima volta durante uno spettacolo a Firenze in una tv locale. Parliamo del 1980. C’erano dei giovani artisti comici che si esibivano. Chi c’era stato prima di lui non aveva fatto ridere e io ero un po’ irritato da questa cosa, quindi, quando è arrivato Leonardo, gli dissi: Leonardo Pieraccioni, ti do un minuto per far ridere... Ci riuscì. Da allora siamo diventati amici».

Quanti anni avevate?
«Lui 16 anni e io 20».

E Giorgio Panariello?
«La prima volta che ho incontrato Giorgio è stato nel 1985. Io conducevo una serata a Vibo Valentia e Giogio imitava Renato Zero. Stavo preparando il mio primo programmino televisivo su una tv locale con Leonardo Pieraccioni e quindi quando scoprii questo Renato Zero fantastico gli proposi subito di entrare in questa avventura. Senza soldi e senza speranze (ride). Però siccome era un periodo che di buona volontà ce n’era tanta, ma di soldi ce n’erano pochi, ci siamo messi tutti in gioco».

Ci racconti un aneddoto?
«Io e Leonardo abitavamo a Firenze e Giorgio in Versilia. Non sapevamo mai se riusciva a trovare i soldi per pagare la benzina dalla Versilia a Firenze. E allora facevamo due scalette, una con Giorgio e una senza (ride). Che bei ricordi la nostra gavetta!».

Ne hai un altro di aneddoti che ricordi con piacere?
«Ne avrei moltissimi. Una cosa che mi ricordo è quando facemmo uno spettacolo a Roccastrada. C’erano sette persone di numero a guardarci e noi facemmo ugualmente lo spettacolo come se ci fosse il teatro pieno. Ci comportammo come se davanti a noi ci fossero quei 7mila spettatori che c’erano poi la sera dopo in un teatro con l’ingresso gratuito. È stato difficilissimo, ma anche quell’occasione ci ha insegnato tantissimo».

Oggi per i giovani che vogliono affermarsi nello spettacolo la strada è più spianata, tutto è più rapido.
«Eh già. Oggi ci sono i talent, successo immediato. Noi ci siamo sudati tutto fino all’ultimo. Sono cambiati i tempi».

A breve partirà lo Zecchino d’oro.
«Questa è un’altra cosa cui tengo molto. Ho iniziato la direzione artistica dello Zecchino quando ho lasciato quella di Sanremo e lo faccio con grande divertimento e passione. Ho un modo diverso di scegliere le canzoni e nel corso di questi anni sono arrivati tanti autori famosi. Pensa che quest’anno avremo da Loredana Bertè a Paolo Vallesi a Lorenzo Baglioni che hanno scritto canzoni per lo Zecchino d’oro o che hanno tirato fuori dal cassetto un brano vecchio, come nel caso di Loredana Bertè, scritto qualche anno fa che però è perfetto anche per lo Zecchino d’oro. Ricordandoci sempre che allo Zecchino d’oro i veri protagonisti sono le canzoni e non i cantanti».

Non posso non farti questa domanda, Carlo. Ti è piaciuta la nuova pubblicità di Esselunga?
«Guarda, non ci ho trovato niente di sconvolgente. Credo però che nel nostro paese si dovrebbe parlare meno di pesche e più di problemi concreti». 

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