Il cinema italiano piange miseria ma il governo ha aumentato gli aiuti

Star e registi attaccano Giuli per le nuove regole che impongono più trasparenza sul rimborso delle spese e dimenticano che il centrodestra ha stanziato 700 milioni
di Pietro Senaldisabato 17 maggio 2025
Il cinema italiano piange miseria ma il governo ha aumentato gli aiuti
3' di lettura

“Il convento è povero ma i frati sono ricchi” è la fotografia che decenni fa il ministro socialista Rino Formica, oggi oltre i novant’anni, scattò dell’Italia. Una massima che potrebbe essere riciclata come titolo illustrativo della situazione del cinema nostrano. Elio Germano, Gabriele Muccino, Pier Francesco Favino, Francesca Archibugi, Michele Riondino, Valeria Golino, Ferzan Ozpetek: tutti insieme appassionatamente, la vecchia meglio gioventù dello star system piange miseria e punta l’indice contro il governo. Sono ricchi e famosi ma temono per il futuro. Lamentano tagli alle produzioni e accusano la maggioranza di volerli censurare affamandoli economica mente.

Urge chiarezza perché il colpo d’occhio confonde. Registi e attori nostrani vivono a sette stelle, guadagnano più dell’amministratore delegato di qualsiasi grande azienda e partecipata italiana eppure vogliono convincere il pubblico di essere in ristrettezze. “Non riusciamo più a lavorare” è il mantra.

Cos’è successo? Una serie di regole per imporre chiarezza sugli sconti fiscali, il famoso tax credit di cui godono i film. Il governo l’ha alzato dal 30 al 40%, quest’anno sono stanziati 700 milioni per finanziare l’industria del cinema, mentre prima del Covid erano quattrocento, eppure Germano and Friends si sentono presi per fame, vogliono più soldi. Al di là delle schermaglie dialettiche tra il ministro della Cultura, Alessandro Giuli ed Elio il rosso, l’esecutivo si difende con i fatti e i numeri, sostiene che a far venire l’allergia ai nostri cinematografari siano tre norme: quella che chiede di indicare i nomi dei beneficiari delle fatture di cui si chiede il rimborso, quella che impone di specificare la prestazione pagata e quella che vieta le fatture a cascata, per cui si arriva a finanziare qualsiasi cosa, anche realizzata all’estero.

«Il più pulito ha la rogna», confessa dietro promessa di anonimato l’alto dirigente di una casa di produzione internazionale. La realtà è che il cinema vive una doppia dimensione. Nelle sale va sempre meno gente, nel 2023 al botteghino non si sono incassati neppure 500 milioni; di questi alle produzione italiane è andato non più del 25%. Se si considera quindi lo stanziamento di 700 milioni, con sforamenti autorizzati fino al miliardo, se ne desume che dalle sale rientra solo un decimo della somma spesa e che quindi il cinema è, salvo eccezioni, un’industria a debito, che si regge su Pantalone, come il fu reddito di cittadinanza. Con la differenza che chi percepiva il sussidio grillino faceva comunque una vita di stenti mentre i beneficiari del sussidio franceschino- dall’ex ministro del Cultura del Pd che ha incrementato il Luna Park dei finanziamenti – se la passano come il grande Gatsby.

Con un’altra cifra significativa a smontare la narrazione di Germano e soci, interpreti drammatici di una pellicola grottesca, quindi due volte fuori ruolo. Non è vero che si lavora meno per colpa del centrodestra. Nel 2023, primo anno dell’era Meloni, sono stati prodotti 402 film italiani, con un aumento del 13% rispetto al 2022 e del 23,7% rispetto al 2019.

Gennaro Sangiuliano batte Dario Franceschini quindi, ma si sa che l’ex ministro del centrodestra è specializzato nel pagare anche quando non ha colpe mentre quello dell’Ulivo gode di un’approvazione incondizionata che va oltre i suoi meriti. Cosa vogliono dunque Germano e gli altri? Più sostegno alla cultura per dirla bene, più soldi per dirla giusta. Per continuare a girare sempre lo stesso film: “La grande abbuffata”.