Michele, "da Patty Pravo alla Bertè: ero un conquistatore"

di Alessandro Dell'Ortodomenica 13 luglio 2025
Michele, "da Patty Pravo alla Bertè: ero un conquistatore"
7' di lettura

«Se mi vuoi lascia-are, dimmi alme-no il perché». Provate a canticchiarl o- qualsiasi sia la vostra generazione - e vedrete che vi resterà (piacevolmente) nella testa per tutta la giornata, insieme con la voce calda e profonda di quel ragazzino moro dal sorriso timido che, nell’estate del 1963, ha portato al successo questo indimenticabile brano. Già, Michele Maisano - conosciuto da tutti semplicemente come Michele -, uno dei talenti della scena musicale genovese degli Anni ’60 cresciuto insieme ad altri miti tipo Tenco («Era come un fratello, ma non avevo capito la sua fragilità»), De André («Geniale, ma oggi farebbe fatica a emergere»), Paoli, Lauzi. Michele ora ha 81 anni e si esibisce ancora («Una quarantina di date l’anno tra feste private, sagre di paese e teatri») e gestisce, con la moglie Cristina, un B&B in provincia di Savona. Che si chiama - non potrebbe essere altrimenti - “Se mi vuoi lasciare”.

Stanze a tema, piscina, giardino, una sala per registrare musica: Michele, che meraviglia questo B&B.
«Io e mia moglie Cristina viviamo qui da 30 anni e 10 anni fa abbiamo allestito tre camere per gli ospiti con i nomi dei miei più grandi successi: “Ti senti sola stasera”, “Ho camminato” e “Dite a Laura che l’amo”. La sala della colazione invece è “Susan dei marinai“. Il nome del B&B, ovviamente, è “Semi vuoi lasciare”».

Che clientela avete?
«Inizialmente gruppi musicali che registravano e provavano, l’idea è nata così. Ora abbiamo pochi ospiti perché spesso siamo in giro».

In vacanza?
«No, per le mie serate: a 81 anni mi esibisco ancora in tutta Italia, una quarantina di date l’anno tra feste private, sagre di paese, locali e teatri. Ripropongo la mia carriera con le canzoni del passato».

Lei invece cosa pensa della musica di oggi?
«Quale musica? In Italia non esiste più un’industria, non si investe. A un giovane che volesse iniziare direi di andare all’estero».

Cosa manca qui da noi?
«Non ti danno la possibilità di sperimentare e farti conoscere, conta più l’apparenza della musica. Lucio Dalla agli inizi sbagliò alcuni pezzi prima di vendere i dischi; uno come De André, un genio assoluto, oggi non potrebbe emergere perché non avrebbe il tempo di far affezionare gli ascoltatori al suo linguaggio».

Lei ascolta di tutto?
«Sì, anche se certi generi li sopporto a fatica. Però bisogna avere una cultura completa, ero così fin da ragazzino».

Torniamoci, a quegli anni. Al piccolo Gianfranco Michele Maisano.
«Nasco il 22 giugno 1944 a Vigevano, mentre mamma Velia, cantante lirica, è ospite dei nonni per stare lontano dai bombardamenti di Genova».

Che bambino è?
«Tranquillo, timido. Cresco a Genova, ma d’estate, dagli 8 ai 13 anni, papà Franco mi manda in vacanza per un mese in un paesino da una famiglia di contadini. E lì imparo i trallalero, canti folkloristici a cappella».

Nel frattempo, però, scopre pure il rock and roll. Dove lo sente la prima volta?
«Alle giostre. Me ne innamoro, divento ballerino acrobatico, poi canto e vengo ingaggiato dall’orchestra Zanti».

E gli studi?
«Mi iscrivo all’istituto nautico, ma il pensiero è soprattutto alla musica».

Fa tante serate?
«Tre a settimana, ma appena finisco passa a prendermi un amico in Ape evado a cantare rock nei locali in cui ci sono i marinai americani, sbarcati al porto con le portaerei: guadagno più con le loro mance in dollari che con l’orchestra».

E la notano i fratelli Reverberi.
«È la mia fortuna, perché inizio a frequentare casa loro e conosco tutti i miti genovesi: Tenco, De André, Paoli, Lauzi».

Poi approfondiamo. Il boom lo fa a soli 17 anni, con il Cantagiro, cantando la celebre “Se mi vuoi lasciare” scritta da Saro Leva (testo) e Gian Piero Reverberi (musica). Subito una curiosità: canzone ispirata a qualche ragazza in particolare? Come mai ride?
«Totalmente inventata, l’idea iniziale è che sia un testo demenziale, leggero».

Quindi alle spalle non c’è nessun dramma d’amore?
«Macché, il rock in quegli anni è così: ironico, goliardico, non musica impegnata».

Si rende subito conto che è un successo?
«No, anche perché all’inizio c’è un problema: l’orchestra che mi accompagna è ungherese e il batterista non sta al ritmo. A salvarmi, per fortuna, è Paoli che mi presta il suo».

Lei vince a sorpresa il Cantagiro e la vita si stravolge.
«Serate, fan, foto: impossibile fare tutto, lascio la scuola».

Però diventa uno dei protagonisti della musica genovese: raccontiamo i grandi artisti con i quali è cresciuto. Partiamo da Luigi Tenco.
«È come un fratello maggiore, stiamo insieme tutte le sere: è divertente, intelligente, eccezionale».

Si uccide il 27 gennaio 1967, in hotel, mentre sta partecipando al Festival di Sanremo.
«Nessuno di noi, in quel momento, purtroppo capisce la sua fragilità, che tiene ben nascosta. Tutti noi gli sconsigliamo di partecipare al Festival, ma non ci ascolta».

Chi le dice della tragedia?
«Mi telefona Reverberi e piangiamo al telefono, per il dolore e per la rabbia. La cosa più triste, poi, è che al funerale siamo solo io, Reverberi, la moglie di Paoli e De André».

Continuiamo con un’altra leggenda: Fabrizio De André.
«Faber è geniale, ha una cultura immensa, legge due libri al giorno e ha una memoria prodigiosa anche quando beve qualche bicchiere di troppo. Mai più incontrato uno così. Soprattutto, però, è umile e bravo a collaborare con gli altri».

Un esempio?
«Mi fa ascoltare il testo de “Il testamento di Tito” che deve incidere la mattina dopo. Le parole sono bellissime, ma lo fa sul “Blowin’ in the wind” di Bob Dylan. Gli dico che se vuole ho un amico che potrebbe aiutarlo, prendo le parole e corro a Milano da Corrado Castellari. Arrivo all’1 di notte, gli spiego tutto e mi addormento. La mattina, al risveglio, c’è la musica pronta».

De André si sdebiterà.
«Con Castellani abbiamo pronta una musica con la quale pensiamo di fare un brano per lo Zecchino d’Oro. Un giorno Faber viene a trovarmi, gliela faccio ascoltare. E lui: “Belìn, carina questa canzone, quasi quasi ci faccio le parole”. Così scrive il testo di “Susan dei marinai”, che ci regala».

Terzo mito: Gino Paoli.
«Imprevedibile, sorprendente. Tournée in Giappone nel 1964, facciamo scalo a Hong Kong e mi dice: “Andiamo a vivere la vita”. Mi porta in un posto strano ed ecco, qui sulla spalla destra, il risultato...».

Un tattoo?
«L’unico che ho, la testa di una pantera. Lui invece si fa una gatta sul braccio. Una follia per quei tempi in cui i tatuaggi li hanno solo i carcerati e i marinai».

Meraviglioso. Ultimo personaggio: Bruno Lauzi.
«Brunino è simpatico, ironico, sempre pronto a scherzare col suo umorismo inglese/genovese. Le racconto questa: al mio matrimonio chiede di cantare e, a sorpresa, intona “Se mi vuoi ciulare, dimmi almeno il perché”. Tutti a ridere».

Buona questa. Michele, torniamo a lei: dopo il successo al Cantagiro viene definito “l’Elvis Presley italiano”, canta altre hit come “Ti senti sola stasera” e “Dite a Laura”, si esibisce due volte all’Olympia di Parigi e vende più di 3 milioni di dischi. Un vero boom. Qualche episodio indimenticabile?
«Dopo “Se mi vuoi lasciare” mio padre, a Sestri, riceve una telefonata. “Uè, sono Adriano, c’è tuo figlio?”. “Scusi, Adriano chi?”. “Celentano”. Papà butta giù il telefono pensando a uno scherzo. Altra telefonata, stessa scena. Passa qualche tempo e incontro Celentano in sala registrazioni, ride e dice: “Uè, certo che tuo padre ha proprio un carattere di merda”».

Ma cosa voleva?
«Chiedermi di entrare nel Clan. Sarebbe stata la mia rovina: papà inconsapevolmente mi ha salvato. Quella volta in Romania invece...».

Racconti.
«Siamo ospiti di una tv e a pranzo, vicino a noi, c’è il gruppo di Duke Ellington che si è appena esibito nello stesso programma. Si avvicina il batterista, un italoamericano, e mi dice: “’O maestro gradirebbe un autografo per il nipotino”. Io: “Mi prendi per il culo?”. Lui, serissimo: “No, no, me l’ha chiesto lui”. Capito? Ho fatto un autografo al grande Duke».

Mica male. Parliamo di Festival di Sanremo: lei ci partecipa nel 1970 e nel 1972, ma senza grandi risultati.
«Non fa per me, tutto troppo veloce mentre io sono un diesel e ho bisogno di tempo».

Ultime domande veloci. 1) Rapporto con la religione?
«Sono agnostico».

2) Paura della morte?
«Durante il Covid ci sono andato vicino, ma ero sereno».

3) Una cazzata che non rifarebbe nella vita?
«Ho rifiutato “Cuore matto” e “Dio come ti amo”, non li pensavo adatti al mio stile».

4) Ha avuto molte donne?
«Tantissime, non mi sono fatto mancare nulla. Le ragazze le trovavo in camera ad aspettarmi, ricevevo biglietti e proposte di ogni tipo».

Qualche storia “famosa”?
«Sono stato per sei mesi con Patty Pravo nel 1965, bellissima e di grande personalità. Poi ho avuto un flirt, nel 1967, con Loredana Bertè».

Ora è sposato?
«Il primo matrimonio è stato nel 1984 con Franca e abbiamo avuto una figlia, Francesca. Nel 2005 invece ho sposato Cristina dopo 10 anni di fidanzamento. E siamo felicissimi».

5) Musica, teatro, ma anche cinema: lei ha recitato in “Tutto Totò”, vero?
«Era il 1966, lui quasi cieco. Contava i passi della sala, toccava i tavoli tre volte e memorizzava tutto. Poi, magicamente, recitava come se ci vedesse alla perfezione».

Michele, ultima domanda: a 81 anni e dopo una carriera così brillante, ha ancora un sogno?
«Mi piacerebbe tanto fare un musical. Chissà che prima o poi...».

ti potrebbero interessare

altri articoli di Spettacoli