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Tg1, Elisa Anzaldo irride Meloni? Il precedente del 2011 che spiega tutto

Giovanni Sallusti
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Definizione di servizio pubblico in tutto il resto del mondo: quel servizio televisivo offerto dallo Stato (cioè dai contribuenti), destinato per questo a documentare le diverse realtà e punti di vista della nazione. Definizione di servizio pubblico in Italia: quel servizio televisivo offerto dallo Stato (cioè dai contribuenti), destinato per questo a correre sistematicamente in soccorso del Pd sotto elezioni. Esagerazioni, forzature da paranoici reazionari? Giudichi il lettore, a partire dall'ultimo caso di faziosità esibita. Ieri mattina, rassegna stampa del Tg1, conduce Elisa Anzaldo, l'ospite è il condirettore del Corriere dello Sport Alessandro Barbano. I due discettano amabilmente sul fondamentale scoop di Repubblica, secondo cui Giorgia Meloni sarebbe passata dal tifo per la Lazio a quello per la Roma. «Se peccato è, in questo caso non è il peggiore peccato di Giorgia Meloni», butta là sardonico Barbano. La Anzaldo raccoglie subito, con risatina d'ordinanza e chiosa «Ce ne sono tanti altri...». Solo che, appunto, lei è una dipendente Rai (peraltro voto iper-riconoscibile del telegiornale delle 20, dopo l'epurazione difficilmente spiegabile con criteri di merito di Francesco Giorgino): lo stipendio glielo pagano anche gli elettori di Giorgia Meloni, quelli dell'intero centrodestra, i non ideologizzati o angosciati dall'allarme fascismo, insomma tutti gli italiani soggetti a quel simpatico pizzo di Stato che è il canone. La cosa divertente è che la Anzaldo nel 2011 si ritirò dalla conduzione del Tg1 in polemica con l'allora direttore Augusto Minzolini, reo a suo rigoroso giudizio di «violare i più elementari doveri dell'informazione pubblica: l'equilibrio, l'imparzialità, la correttezza, la completezza».
 

 

 

LA RETROMARCIA
Totem professionali e morali irrinunciabili per la collega, tranne nel caso la loro violazione avvenga per una buona causa, quella della Ditta progressista. In quel caso, si può tranquillamente sbeffeggiare indiretta la leader del primo partito italiano. Resasi conto dell'enormità, in serata ha imbastito le scuse più inverosimili della storia: «Nella conversazione ho chiosato sulla metafora calcistica ma il risultato finale è stato diverso da quello che avrei voluto. Nelle mie intenzioni parlavo ancora di calcio. Poiché il tono è stato avvertito come improprio, me ne scuso». Parlava ancora di calcio, come no, e chi scrive è favorito per il Premio Pulitzer. L'affaire ovviamente nel frattempo era deflagrato. I parlamentari della Lega in Commissione di Vigilanza Rai chiedono la sospensione della Anzaldo per «il comportamento inammissibile, in sfregio a tutti i principi della par condicio». Daniela Santanchè, capogruppo di Fratelli d'Italia in Commissione, pretende una riunione urgente «affinchè l'amministratore generale Fuortes e lo stesso direttore del Tg1, Monica Maggioni, spieghino come intendano agire perché in Rai sia garantito il pluralismo alla luce dell'imminente campa gna elettorale».

Con sprezzo del ridicolo, Andrea Romano del Pd prova a ribaltare la frittata, blaterando di «manganello contro il servizio pubblico» da parte del centrodestra, ovvero di quella parte politica irrisa sul servizio pubblico senza contraddittorio. Ma sono frattaglie, quel che invece emerge a meno di due mesi dal voto è una tendenza antica, ma non per questo meno aliena dal solco delle democrazie liberali: l'impegno militante, se non militare, della tivù di Stato a favore di uno schieramento. Una pratica, oltre che aberrante culturalmente, masochista aziendalmente. Come hanno fatto notare sempre i membri leghisti della Vigilanza, l'edizione delle 20 del Tg1 (già surclassato ampiamente ogni mattina dal Tg5) ormai «non arriva ai tre milioni di telespettatori: se non è crisi nera, poco ci manca». Una crisi figlia anche di bizze ideologiche esplicite, come quella di «dedicare poco meno dei primi dieci minuti iniziali al presunto movente razzista che dovrebbe fare da sfondo alla vicenda di Civitanova, in realtà smentito dagli inquirenti».

 

 


PROPAGANDA
Qui siamo in piena propaganda, per cui la cronaca nella redazione della Maggioni diventa quel che era la storia sotto il Grande Fratello per Orwell: «Un palinsesto che poteva essere raschiato e riscritto tutte le volte che si voleva». La stessa direttrice capisce che stavolta è dura passare oltre fischiettando, e nel pomeriggio diffonde una mail interna dal seguente tenore: «Un episodio accaduto nella Rassegna Stampa mi spinge a ricordare che il nostro dovere è quello di andare in onda restituendo ai nostri spettatori il senso di sobrietà e di totale equilibrio proprio del servizio pubblico». O è un eccesso di ottimismo, o intendeva il servizio pubblico di un altro Paese. 

 

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